Com’è cambiato L’Espresso: poca politica, pochi territori. Gli ultimi, ma anche i primi
L’Espresso numero uno della nuova proprietà di Danilo Iervolino è uscito domenica 15 gennaio 2023. Tanto per cominciare: dopo le ore dodici, in una edicola di Roma quartieri alti, non è esaurito (è in vendita in abbinamento con la Repubblica). Non c’era – a quanto pare – grande attesa, né grande curiosità. Ma questa è una notizia triste per tutta la stampa italiana. Non c’è attesa né curiosità per le novità in edicola. In generale.
La copertina. È di Oliviero Toscani, un po’ segnato da anni di campagne pubblicitarie Benetton. Una mano che fa il segno di Vittoria. La mano è tinta di bianco, le due dita alzate sono verde e rossa. Il polso mantiene il suo colore naturale, nero. Appartiene a una ragazza angolana di 30 anni, di cui 20 passati in Italia.
L’editoriale. Alessandro Mauro Rossi, il nuovo Direttore, scrive fra l’altro che L’Espresso “continuerà ad essere, orgogliosamente, il giornale che difende gli ultimi, ma saprà anche dare spazio ai primi, a coloro che costruiscono futuro e speranza per il nostro Paese”.
L’ex Abbate. In coda all’editoriale (“Nuovo, coraggioso, visionario. Che il futuro sia con noi”), Rossi scrive: “P.S. Un ringraziamento speciale a Lirio Abbate. Questo progetto è in parte anche suo”. Abbate compare anche nella composizione della redazione, a pagina 128, come “Caporedattore”. È stato sostituito sulla poltrona da Direttore, il 15 dicembre.
Ospite inatteso. Dopo l’Editoriale e le nuove rubriche di Carlo Cottarelli e Francesca Barra, c’è lo spazio fisso di Maurizio Costanzo, chiamato “Per buona memoria”. Per buona memoria, Costanzo, nel 1981 fu trovato nelle liste della loggia P2 di Licio Gelli. Si pentì, disse che fu “un grosso errore”, ma certo L’Espresso è sempre stato su un’altra sponda.
Io c’ero. Dopo i commenti, il fascicolo si apre con questo titolo, seguito da una serie di foto, scelte da Oliviero Toscani. Sulle foto ci sono aforismi, ma non si sa cosa rappresentino. Un po’ l’antitesi della cronaca.
In primo piano. Tre servizi che raccontano “L’Italia di domani”. Prezzi, autonomia differenziata, immigrazione. Dei migranti si dice che “pagano in tasse più di quanto ricevono in assistenza. In un’Italia che invecchia sono una risorsa”.
Filosofo fedele. Molti collaboratori, come Altan e Michele Serra, sono andati via dopo il cambio di proprietà. Massimo Cacciari è rimasto: Su questo numero scrive: “La democrazia, se ha un futuro, sarà europea”.
Politica poca. L’Espresso si occupa dell’esecutivo Meloni con un titolo inequivocabile: “Retromarcia su Roma”. Spiegazione: “L’identità più forte del governo Meloni è il dietrofront: dai rave alle accise, dai Pos alle pensioni”.
Grandi ritorni. Virman Cusenza, già direttore del Mattino e del Messaggero, firma una rubrica che si chiama “Palazzometro”. Sergio Rizzo, già coautore della “Casta”, già al Corriere della Sera e a vicedirettore a Repubblica, firma una delle sue inchieste sulla giustizia amministrativa.
Spazio ai primi. “Piccole rivoluzionarie crescono”, l’elenco delle 5 start up italiane “da tenere d’occhio” e delle 5 straniere “che detteranno la linea”.
“Amici bestiali”. Fra le rubriche nuovissime, in fondo al giornale quella di Viola Carigani sugli animali.
Le differenze. Salta agli occhi, rispetto agli ultimi Espresso, un certo distacco dai territori. Tutto è su un piano nazionale. Il formato è più alto e stretto, la carta più ruvida.
Come si giudicano i giornali nuovi? Dopo almeno dieci numeri.
“L’Espresso con la minigonna”: via Altan e Makkox, dentro Rizzo, Costanzo e Cusenza
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