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Recensione di Giovanni Salvi a “​Padri e Padrini delle Logge invisibili” di Piera Amendola

Giovanni Salvi * il . Recensioni

Il bel libro di Piera Amendola, Padri e Padrini delle Logge invisibili, ha per sottotitolo Alliata, Gran Maestro di rispetto. L’Autrice ricostruisce le vicende della massoneria italiana nei suoi legami internazionali e nelle sue compromissioni con alcune delle più gravi vicende giudiziarie della storia repubblicana.

Il lavoro è basato sul ricco materiale archivistico al quale Amendola ha potuto accedere negli anni, anche per il suo prezioso ruolo di consulente della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla Loggia P2, presieduto dalla indimenticata Tina Anselmi. A quel materiale nel tempo se ne è aggiunto molto altro proveniente da archivi, come il Fondo Alliata, o dai tanti processi che hanno riguardato la massoneria, sia come organizzazione che per i nessi con fatti delittuosi, emersi nel tempo a carico di appartenenti ad articolazioni massoniche. Un materiale, dunque, sterminato. Orizzontarsi nell’intreccio delle connessioni è una bella sfida per il lettore.

Amendola è una guida sicura, ma sono i fatti in sé ad essere difficilmente districabili. Anche solo comprendere la complessa rete delle massonerie, delle diverse obbedienze e dei percorsi nel tempo di uomini e logge non è facile.

Le cronache politiche, troppo spesso basate su quelle giudiziarie, rimandano essenzialmente a Licio Gelli e alla Loggia Propaganda 2. Non poteva essere altrimenti, vista la gravità della minaccia alle fondamenta stesse della democrazia, derivante da un progetto di trasformazione della costituzione materiale del Paese, realizzato innanzitutto attraverso la penetrazione di ogni istituzione da membri della Loggia, molti dei quali non rimasero inattivi.

Basti pensare al condizionamento delle principali strutture di sicurezza, totalmente nelle mani di “piduisti”. Questo condizionamento non fu limitato all’accaparramento di posizioni e di risorse ma si spinse fino all’utilizzo delle posizioni ottenute e delle risorse predate per interferire con alcune delle più significative vicende della vita del Paese. Dalla tanto vituperata Procura di Roma nacquero ad esempio le indagini sul c.d. SuperSismi, cioè sulla struttura interna al Servizio militare e gestita da membri della Loggia, e sulle attività che questa pose in essere per favorire gli esecutori materiali della strage di Bologna del 2 agosto del 1980.

Per tali fatti vi sono state condanne nei confronti di alti esponenti del Servizio, mentre a Bologna proseguono i processi volti ad accertare le responsabilità dei mandanti, che sempre verso Gelli e la sua organizzazione sono indirizzati. In realtà, la capacità di penetrazione del SuperSismi anche negli ambienti internazionali fu accertata in processi – anche questi romani – di cui si è persa la memoria e che sono invece di grande importanza per comprendere ruoli e legami, come quello per il c.d. Billy Gate, trappolone efficacemente ordito in danno del presidente in carica degli Stati Uniti, Jimmy Carter, attirando il fratello Billy in affari con la Libia e fornendo così un contributo determinante per la elezione di Ronald Regan.

Grazie a questo servizio, questa volta senza maiuscola …, gli uomini della P2 all’interno del Sismi assunsero un ruolo assai significativo nella intermediazione tra i nostri politici e la nuova amministrazione statunitense. Altri elementi della pervasività dell’azione della Loggia furono individuati, tra Roma e Napoli, con esiti non sempre processualmente positivi ma con la raccolta di impressionanti dati di fatto, nei rapporti con la Camorra e con organizzazioni terroristiche (si veda il sequestro dell’assessore Ciro Cirillo) o nella gestione del dopo terremoto dell’Irpinia.

Anche la magistratura fu sconvolta dalla penetrazione ad opera della Loggia P2 ai massimi livelli del CSM. ANM e Consiglio reagirono con grande fermezza, tra le poche istituzioni che compresero la gravità della minaccia. Questo va oggi ricordato, in un clima di velenoso disprezzo verso il sistema del governo autonomo e della magistratura associata.

Se dunque vi sono ottime ragioni perché l’attenzione giudiziaria e politica si concentri sulla Loggia P2 e su Licio Gelli e i suoi sodali, Amendola dipana una ben più complessa rete di fatti e legami, che attraversano la storia del Paese. Una storia, però, non tutta criminale e in cui forse a volte si appannano le distinzioni tra lecito e illecito.

Il filo conduttore della ricerca di Amendola è il principe Giovanni Francesco Alliata di Montereale. Figura straordinariamente interessante, dal punto di vista storico e – per quanto emerge dai rapidi tratteggi del libro – anche per la complessa personalità.

Una vita avventurosa, scrive Amendola, quasi un romanzo di Francis Scott Fitzgerald, tre mogli, un immenso patrimonio dilapidato e amicizie pericolose. Come Tommaso Buscetta, con il quale condivide il tavolo di poker.

Alliata sarebbe dietro tutte le trame, all’origine della strategia della tensione, recitano titolo e sottotitolo della ricerca di Giovanni Tamburino, edita pressoché contemporaneamente a quella di Piera Amendola, il cui lavoro documentale vi è spesso citato.

Leggere insieme i due volumi è di grande utilità. Ne emergono le radici politiche e culturali della feroce critica di Alliata ad una Repubblica imbelle, nata dal tradimento e incapace di resistere alla minaccia del comunismo, e le strategie complesse che ne discendono. Il centro dell’attenzione di Tamburino è la Rosa dei Venti, struttura oggetto di un’indagine che Egli, giudice istruttore, aveva potuto compiere per pochi mesi ma con grande profitto, prima che una decisione della Cassazione non lo spogliasse del processo per attribuirne la titolarità agli uffici romani, ove venne riunito agli altri, relativi ai preparativi di colpo di Stato dei primi anni ’70.

Amendola inserisce le indagini di Tamburino, che portarono all’emissione di un mandato di cattura rimasto ineseguito nei confronti di Alliata, nel più ampio contesto della sua appartenenza alla Loggia P2. Appartenenza non meramente formale, se Amendola ricostruisce con molti riscontri documentali il ruolo che Alliata vi svolse, nel più ampio contesto delle dinamiche delle obbedienze massoniche e delle scissioni e riunificazioni che ne segnano la vita e che sono accuratamente descritte.

Proprio la complessità dello scenario descritto da Amendola, e a cui fa riferimento Tamburino, rende davvero difficile individuare nelle strategie della destra eversiva del dopoguerra un disegno unico e meno ancora una Spectre o un burattinaio.

La stessa figura di Alliata attraversa l’intera storia del Paese, dall’immediato dopoguerra fino alla strategia della tensione degli anni ’70, ma è difficile riconoscervi il regista occulto di ogni trama. Anzi, proprio la sua storia anche parlamentare sembra essere la migliore descrizione della complessità e difficile decifrabilità delle manovre “anticomuniste”, su diversi piani.

Alliata, nella ricostruzione di Amendola, naviga nel mare vasto delle politiche anticomuniste, dalle aspirazioni di Andrea Finocchiaro Aprile per una Sicilia indipendente, ai Partiti monarchici, che a lungo rappresenta nel Consiglio comunale e nell’Assemblea regionale di Palermo e infine in Parlamento. La massoneria e le molte iniziative analoghe, dall’Accademia del Mediterraneo al Parlamento Mondiale, dall’Accademia di Alta Cultura, con Pino Mandalari, ai Centri trapanesi, tra cui il Circolo Antonio Scontrino, vengono ben ricostruite nelle loro origini e vicende volte a raccogliere la zona grigia, di cui si dirà innanzi.

Ciò che unisce i fili degli eventi è una larga strategia politica, le cui radici affondano quanto meno nella invasione alleata della Sicilia e nelle prospettive, allora ancora incerte, con cui Gran Bretagna e Stati Uniti dovettero confrontarsi, in un contesto internazionale (oggi si direbbe geopolitico) che andava rapidamente mutando e in cui i recenti alleati già si prefiguravano come i futuri nemici.

A questa strategia si adeguarono di volta in volta diversi attori, uniti da legami ideologici, organizzativi e finanziari ma difficilmente riconducibili ad unum.

La ricerca dell’organizzazione, regista delle strategie eversive e costituita da apparati dello Stato, ha a lungo impegnato gli investigatori, che faticosamente cercavano di individuarne l’esistenza a partire dai bandoli della matassa, che di volta in volta emergevano sin dall’inizio delle indagini sulla strategia della tensione. A partire da quelle milanesi e padovane sugli attentati del 12 dicembre 1969, e anche dall’indagine romana, condotta da Vittorio Occorsio, che si basa sugli elementi prospettati dal Ministero dell’Interno e che puntavano sul Circolo anarchico 22 Marzo e dunque su Pietro Valpreda, ma che già individuavano l’anomalia della presenza in quel circolo di militanti di Avanguardia Nazionale, e dunque di Stefano Delle Chiaie.

I processi per piazza Fontana, per gli attentati ai treni e infine per Piazza della Loggia fanno emergere complicità diffuse degli apparati informativi (allora non distinti dall’organizzazione dei ministeri della Difesa e dell’Interno) e non solo a copertura di altri soggetti. Si dice infine, riferendoci alla strage di piazza della Loggia a Brescia,  non certo per ragioni temporali, ma perché è assai recente la condanna all’ergastolo della Fonte Tritone, Maurizio Tramonte, per un ruolo attivo nell’attentato.

Lo scenario diviene più chiaro con i processi sulla strage di Bologna, che soffrono sin dall’inizio di continui tentativi di depistaggio, ma giungono infine a disvelare l’intreccio tra apparati informativi, logge massoniche e un reticolo di movimenti stragisti. Quest’ultimo aspetto è di grande importanza. Lo stragismo nella destra eversiva non è frutto di infiltrazioni e condizionamenti esterni, ma di una reale elaborazione, risalente ai presupposti ideologici di una doppia morale, del superomismo, che rende poi possibile la strumentalizzazione. Un ruolo centrale è svolto da movimenti di origine ordinovista, che segnano in maniera nefasta la strategia delle stragi.

Questi aspetti emergono con chiarezza nella strage di Peteano, del 1972, originariamente attribuita ai rossi, secondo un preciso progetto, reso evidente dalla scelta dell’obiettivo (Carabinieri assassinati vigliaccamente con una 500 trappolata) e dal collegamento con attentati di eguale apparente direzione (il monumento ai Caduti di Latisana e ancora i treni). Peteano è una svolta per molte ragioni. Innanzitutto, perché l’attentato costituisce un esempio lampante della strategia della tensione. Poi, perché dalle indagini su quell’attentato emerse l’esistenza di una struttura occulta, alla cui protezione si mossero i favoreggiatori degli esecutori materiali.

Le indagini che ne scaturirono non consentirono di individuare in Gladio – Stay Behind l’occulto manovratore delle trame eversive. Tuttavia, pur nell’esito assolutorio del processo per i falsi per soppressione e ideologici contestati, in parte per prescrizione e in parte nel merito, credo si possa affermare con certezza che nel 1973, a seguito della scoperta del saccheggio di un deposito di armi della Gladio, il NASCO di Aurisina, e del sospetto che la struttura occulta potesse aver deviato dai suoi fini istituzionali, ed essere stata coinvolta in attività eversive, una radicale trasformazione della Organizzazione fu operata dalla nuova dirigenza del SID.

Questa certezza deriva dalla consulenza archivistica che fu svolta nel corso delle indagini e che è stata la prima di questo genere nella storia giudiziaria. Non un mero accertamento tecnico sui documenti o una ricostruzione storica del periodo, ma l’impiego della scienza archivistica al fine di far emergere dalle serie documentali, dalla loro organizzazione, dalle caratteristiche formali di ogni documento, dalle relazioni tra documenti e strumenti d’archivio, dati di fatto prima ignoti. Una scienza, dunque, perché basata su regole condivise nella comunità scientifica e i cui metodi e risultati sono falsificabili.

Queste considerazioni ci riportano al lavoro di Amendola, che è innanzitutto archivistico e che consente di fornire alla storica la base delle sue argomentazioni.

La strategia che ha attraversato l’intera storia del dopoguerra, fino e oltra la caduta del Muro, non può essere ricondotta ad un singolo attore e tra questi certamente non alla massoneria. Essa è emersa negli anni ’70 come strategia della tensione, affidata all’eversione di destra ma sotto il lasco controllo di istituzioni diverse, ciascuna delle quali ha fatto la sua parte, dall’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno alle strutture di sicurezza, all’epoca facenti capo allo Stato Maggiore Difesa e al SID (prima ancora al SIFAR).

In questo contesto è ormai accertato il ruolo di organizzazioni massoniche, tra cui innanzitutto la P2. Un magma autonomo di organizzazioni terroristiche ed eversive, solo apparentemente slegate tra loro, riconducibili in primo luogo alla matrice ordinovista, ha costituito un attore altrettanto importante e non necessariamente subordinato ai primi. La stessa eversione si è adeguata nel tempo alla trasformazione della “minaccia” e alle potenzialità che tali sviluppi offrivano nel progetto di destabilizzazione, che altri utilizzavano per la stabilizzazione dello status quo.

La vicenda di Pierluigi Concutelli, autore dell’attentato mortale a Vittorio Occorsio, è rivelatrice della complessità dei percorsi politici e del loro intreccio con le appartenenze più insospettabili; secondo l’ipotesi di Amendola, anche a logge massoniche. Sta di fatto che quando fu assassinato, Occorsio stava lavorando a un procedimento di grande rilevanza, che aveva portato a emersione – attraverso la ricostruzione dei movimenti del denaro proveniente da sequestri di persona – l’esistenza di legami tra la criminalità organizzata, l’eversione di destra e quella che sarà cinque anni dopo rivelata con la perquisizione di Castiglion Fibocchi.

La parte più interessante del libro di Amendola è quella in cui si ricostruiscono i complessi legami tra massoneria e criminalità mafiosa. Se questi erano ormai ben noti, perché rivelati dalle indagini che ne avevano messo in luce spezzoni, è il quadro completo, offerto dalla ricostruzione storico-archivistica, che consente di comprenderne la profondità. Se Giovanni Falcone si indirizza verso i legami tra Cosa Nostra e le logge della Sicilia occidentale, tra cui il Circolo Scontrino di Trapani, indagine che non gli fu consentito di sviluppare, egli stesso e altri magistrati ancora individuano nel legame tra Cosa Nostra e la destra eversiva un punto di contatto di straordinario interesse.

La ricerca di Piera Amendola rende chiara la difficoltà della ricostruzione giudiziaria di queste trame; persino lì dove il centro della prova da formare nel giudizio è su singoli e ben determinati elementi e con fonti di prova ad essi strettamente correlati.

Se questo è vero per fatti circostanziati, si comprende come lo strumento della indagine penale è davvero inane a cogliere i nessi, a volte lontani e sottili, che costituiscono la trama sottesa alle strategie criminali di così alto livello.

Non si tratta di una prova di minor qualità, quella su cui si basa la certezza dello storico, ma che ha un oggetto diverso, non circoscritto dalla fattispecie tipica oggetto dell’accertamento, e approcci epistemici differenti, non basati sui limiti legali della prova e sul contraddittorio nella sua formazione come metodo necessario di accertamento, volto ad assicurare l’avvicinamento alla verità, probabilistica ma postulata come esistente e approssimabile.

Tornando ad Alliata, la cui appartenenza mafiosa ad alto livello è documentata, un principio di prova circa un suo ruolo attivo nella strategia anticomunista, avviata proprio in Sicilia nell’immediato dopoguerra, è nelle dichiarazioni di Gaspare Pisciotta, che lo indica quale mandante della strage di Portella delle Ginestre. Delitto fondativo della sistematica eliminazione della rete dei movimenti contadini e sindacali, attraverso l’omicidio e il terrore, che insanguinò l’Isola nel dopoguerra e che ne condizionò definitivamente la struttura politico – sociale.

L’assassinio in carcere di Pisciotta, che segue alla morte di Salvatore Giuliano, chiude questa strada investigativa, che non verrà mai neppure percorsa. Resta questa prima indicazione proveniente da una fonte subito fatta inaridire, così come la figura di Alliata resterà sullo sfondo anche della Rosa dei Venti e del colpo di Stato dell’Immacolata, il Golpe Borghese.

Il lavoro storico-archivistico di Amendola consente di avere un quadro conoscitivo complesso, nel quale si stagliano i molti collegamenti tra le logge massoniche e la criminalità mafiosa e golpista. Impressionante sono il numero e la forza delle strutture massoniche, di varia denominazione, attraverso cui mafia e ‘ndrangheta consolidano le relazioni istituzionali e quelle imprenditoriali.

Di grande interesse è la ricostruzione del diverso atteggiarsi nel tempo del rapporto con la massoneria della mafia siciliana e della ‘Ndrangheta, quest’ultima in grado di utilizzarne strutturalmente le opportunità di condizionamenti politici e affaristici.

Se queste acquisizioni appaiono coerenti con l’interpretazione del reato che punisce l’associazione segreta, individuandone l’offensività nell’interferenza sull’esercizio di funzioni pubbliche, come ancora di recente affermato dalla Corte di cassazione [1] è anche evidente che l’anticipazione della punizione al mero carattere di segretezza dell’associazione, in aderenza al tenore letterale dell’art. 18 della Costituzione, potrebbe valere a punire condotte di notevole pericolosità, attualmente nel limbo tra il divieto costituzionale e l’attuazione nella fattispecie tipizzata.

Tuttavia, proprio alcune esperienze giudiziarie ci portano a riflettere sui rischi che potrebbero derivare da una eccessiva estensione della fattispecie tipica, se già l’attuale formulazione ha portato a ricerche a tutto campo. Penso alle indagini della Procura di Palmi che certamente hanno raccolto una impressionante messe di dati e informazioni, utili però allo storico più che al giudice. Forse potrebbe essere risolutiva, ai fini della costruzione di una fattispecie rispettosa del principio di tassatività, una più chiara definizione normativa di quando una associazione può definirsi propriamente segreta, ai fini della piena attuazione del precetto costituzionale.

Partono invece dall’individuazione di specifici legami tra logge massoniche e consorterie mafiose le indagini ficcanti in terra di Sicilia e di Calabria. Amendola ricostruisce, dalle fonti giudiziarie, un quadro preoccupante della zona grigia, nella quale è facilitato l’incontro tra mafiosi, imprenditori e politici. Particolarmente interessante è il capitolo nel quale è attestato non tanto l’ingresso del mafioso nella Loggia, quanto la costruzione di una strategia, volta a utilizzare queste opportunità per consentire a Cosa Nostra un salto di qualità. Amendola mette in parallelo un progetto di unificazione massonica, accuratamente descritto, con le dinamiche interne a Cosa Nostra che maturano alla fine degli anni ’70. Il finto sequestro di Michele Sindona e il ruolo che svolge Joseph Miceli Crimi costituiscono uno degli snodi di questo processo, unitamente a quello che parallelamente viene avviato da Michele Greco e da alti esponenti palermitani e catanesi.

Il libro di Amendola dà anche un chiaro messaggio a chi intenda su queste relazioni indagare, da storico o da giudice. Il tentativo di ricostruire la storia d’Italia partendo dal ruolo della massoneria non ha vita facile, per la complessità delle interazioni tra attori diversi e per la debolezza delle inferenze che ne discende. Conoscere questo retroterra è però indispensabile per comprendere molte delle singole vicende che compongono quel quadro.

Note

[1] “Ai fini della sussistenza di un’associazione segreta, ai sensi dell’art. 1, legge 25 gennaio 1982, n. 25, la “interferenza” della stessa sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali o di amministrazioni pubbliche deve coincidere con l’adozione di decisioni al di fuori delle sedi istituzionali, che vengano eseguite dai suddetti organi, così da realizzare un vero e proprio “contropotere”, e non una mera influenza sulle scelte di questi ultimi”; Sez. VI, 24 ottobre 2019 – 28 gennaio 2020, n. 3505.

* Magistrato, già Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione

Fonte: Giustizia Insieme, 14/01/2023

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