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Così i superboss della mafia “scelsero” Napoli

Di Giovanni Marino (da repubblica.it) il . Campania

Quando la mafia colonizzò Napoli. Ne fece una irrinunciabile filiale di
affari e delitti. Trasformò camorristi emergenti in “uomini d´onore”.
Condivise grandi progetti criminali. E, inedito assoluto, mise in piedi
con i napoletani un eclatante agguato per eliminare un uomo dello
Stato. Racconta questo e molto altro il pentito di Cosa nostra
Francesco Di Carlo, ex padrino della Cupola. Misteri antichi e nuovi
raccolti dal giornalista di “Repubblica” Enrico Bellavia in 375 pagine
che si leggono con l´intensità di un legal-thriller. “Un uomo d´onore”
attraversa la lunga saga nera della mafia siciliana. Molte pagine sono
dedicate al rapporto tra Cosa nostra e camorra.

Di Carlo, l´ex
boss che ha risposto ai giudici anche su Andreotti, Berlusconi,
Dell´Utri, fa capire con queste parole quale sia stata l´incidenza di
Cosa nostra nel dna della camorra: «L´incontro tra i Corleonesi e i
napoletani ha cambiato profondamente le regole della criminalità da
quelle parti. Era come una peste. Nacquero mille problemi tra gli
uomini d´onore. E la violenza aumentò. La storia criminale di Napoli
era una storia fatta di duelli. L´avversario veniva intimidito: se si
usavano le armi, si mirava alle gambe. Siamo noi ad avere esportato
l´agguato plateale e il sistema della lupara bianca».

Sono
davvero tanti i retroscena del rapporto mafioso Palermo-Napoli e il
pentito mostra di conoscerli nelle pieghe più nascoste. Ecco come
descrive l´affiliazione a Cosa nostra di Antonio Bardellino,
considerato l´antesignano della cosca dei Casalesi: «Un giorno arrivai
a Marano di sera e mi dissero che in un furgone c´erano due che avevano
strangolato (….) mi dissero che avevano anche intenzione di
“combinare” chi glieli aveva portati (…) l´indomani feci da padrino
ad Antonio Bardellino (…) gli spiegai le regole e lui divenne
“compariello”(…) era un giovane di azione e aveva una famiglia che si
dava molto da fare (…) un nome conosciutissimo nel Casertano».

Luciano
Liggio, Totò Riina, Bernardo Provenzano e lo stesso Francesco Di Carlo
erano di casa tra Napoli e Marano, impegnati a «disciplinare il
contrabbando», ospiti dei Nuvoletta, con Zaza, tra i più vicini al
gotha di Cosa nostra. Al punto da essere coinvolti nel tentativo di
omicidio del questore Angelo Mangano. Il pentito svela come andò. Anni
Settanta, Mangano dà la caccia a Liggio, nel frattempo riparato in
Campania, che decide di assassinarlo a Roma. Il raid in via Tor Tre
Teste a Roma, nell´aprile 1973. Liggio agisce con Michele Zaza, Angelo
Nuvoletta e Ciro Mazzarella.

Ma non tutto va liscio: si
inceppa la pistola di Nuvoletta, si perde tempo, Zaza, alla guida, è
costretto a scendere per fare fuoco. Mangano e il suo autista restano
gravemente feriti, ma si salvano. Liggio ha un diavolo per capello,
«l´esitazione di Nuvoletta lo fa molto arrabbiare». Storie di mafia.
Raccontate da chi le ha vissute in prima persona: Di Carlo, che vide
un´ala della camorra sposare rituali, strategie e crudeltà della mafia
siciliana.

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