Milano, presidio Cgil per il lavoro e la dignità oltre le sbarre
Sotto gli uffici UIEPE di Milano la Cgil e il terzo settore denunciano il collasso della giustizia di comunità.
Un presidio per denunciare l’abbandono istituzionale dell’esecuzione penale esterna e chiedere con forza investimenti, assunzioni e dignità per chi lavora nella giustizia di comunità e per chi sta scontando una pena fuori dal carcere. Si è svolta lunedì 14 aprile, in piazza Venino a Milano, vicino al carcere San Vittore, l’iniziativa promossa da Cgil, Funzione Pubblica e Osservatorio Carcere a Territorio, alla quale ha aderito una rete di realtà sociali impegnate sul fronte delle condizioni delle persone autori di reato.
Una mobilitazione unitaria per diritti e dignità
“Volontari, operatori, sindacalisti: siamo persone che credono nei valori costituzionali e nei diritti delle persone, tutte le persone”, ha aperto Ivan Lembo della Cgil Milano. “Ci siamo trovati qui, come già in altre città italiane, per dare voce a chi ogni giorno lavora dentro e fuori le carceri, credendo che il reinserimento sia un diritto, non un’utopia”.
L’UIEPE è il servizio del Ministero della Giustizia, Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, che segue chi sconta la pena fuori dal carcere – con l’affidamento in prova, la detenzione domiciliare, la messa alla prova – ma è oggi allo stremo. Senza personale, con carichi di lavoro insostenibili, strumenti informatici inadeguati e sedi fatiscenti, il servizio rischia di svuotarsi della sua missione fondamentale: trattare persone, non smaltire fascicoli. A rischio il reinserimento sociale di cui le persone hanno bisogno.
Accanto al sindacato, una rete ampia di realtà sociali e istituzionali, tra cui il garante dei diritti delle persone private della libertà, Francesco Maisto. «Ho sentito come un dovere essere qui oggi. La qualità del lavoro degli operatori della giustizia, sia interna che esterna al carcere, è messa a dura prova da una batteria di norme e politiche repressive che negano la funzione rieducativa della pena», ha dichiarato Maisto, denunciando anche l’aumento di suicidi, autolesionismi e tensioni negli istituti penitenziari,
Cesare Bottiroli (Fp Cgil): “Non produciamo scarpe, produciamo diritti”
“Non siamo produttori di beni, ma di diritti. E l’esecuzione penale esterna è un diritto costituzionale”, ha dichiarato Cesare Bottiroli, della Fp Cgil Milano. “Ma oggi le condizioni in cui lavorano le operatrici e gli operatori dell’UIEPE sono insostenibili. Abbiamo un turnover che di fatto è fermo: a fronte di 17 uscite, solo 4 nuovi ingressi. Una percentuale del 25% che mortifica il servizio e i lavoratori”.
“Il rischio è la disumanizzazione del lavoro sociale: chi è in carico all’UIEPE non è più una persona, ma un fascicolo da evadere”, ha proseguito Bottiroli. “Lavorare in queste condizioni significa non solo mettere a rischio la qualità del servizio, ma anche tradire la propria deontologia professionale. E a tutto questo si aggiunge una sede sotto sfratto, con locali inadeguati, insicuri, con caldo torrido in estate e freddo estremo in inverno”.
Sonia Caronni (CNCA): “Ripensare il modello di esecuzione penale esterna”
“Non potevamo non essere presenti”, ha affermato Sonia Caronni, referente carcere del CNCA Lombardia. “Viviamo un momento di crisi del sistema penitenziario come non si vedeva dagli anni ’80. La sofferenza non è solo delle persone detenute, ma anche degli operatori. Eppure crediamo che questa crisi possa essere anche un’occasione: serve ripensare l’intero impianto dell’esecuzione penale esterna, costruito oltre 30 anni fa. È un modello che oggi appare in parte anacronistico: serve coraggio per immaginare una riforma che guardi davvero alla società e alla reintegrazione”.
Ottavio Moffa (Osservatorio Carcere e Territorio): “Investire nel territorio è possibile”
“Lavoriamo ogni giorno dentro le carceri, ma anche fuori, per costruire alternative concrete alla detenzione”, ha spiegato Ottavio Moffa, dell’Osservatorio Carcere e Territorio. “La nostra società potrebbe davvero diventare più aperta, più inclusiva, più capace di accogliere e accompagnare. E invece ci troviamo ancora a parlare di persone ridotte a numeri. Abbiamo raccolto dati che mostrano con chiarezza la portata del problema: fascicoli che restano chiusi, casi che non vengono approfonditi, opportunità di reinserimento che svaniscono per mancanza di risorse”.
“Ma non ci arrendiamo – ha concluso – continueremo a batterci insieme a chi lavora e crede nel cambiamento. Una società che sa reinserire è una società che sa proteggere, prevenire, includere”.
Una battaglia comune, per una giustizia più giusta
La Cgil chiede al Ministero della Giustizia un’inversione di rotta. La giustizia di comunità non è un optional, è un pilastro della convivenza civile. E senza lavoratrici e lavoratori formati, motivati e valorizzati, anche i principi più alti restano lettera morta.
Per questo il sindacato confederale continuerà a mobilitarsi, al fianco degli operatori dell’UIEPE e di tutta la rete sociale, perché i diritti non si sospendono. Nemmeno oltre le sbarre.
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