Strage Pizzolungo: 40 anni dopo, una verità ancora da scrivere
L’ex giudice Palermo evidenzia le responsabilità dello Stato e della massoneria.
Quarant’anni passati ed una verità ancora da scrivere. Usando poche parole è questa la sintesi estrema delle commemorazioni che si sono tenute oggi a Pizzolungo in memoria della strage che il 2 aprile del 1985 ha visto morire a causa di un’autobomba una giovane madre, Barbara Rizzo, ed i suoi due gemellini di sei anni, Giuseppe e Salvatore Asta.
Non erano loro l’obiettivo di quell’attentato, ma il giudice Carlo Palermo, giunto appena 50 giorni prima da Trento.
L’allora magistrato e gli agenti di scorta Raffaele Di Mercurio, Totò La Porta, Nino Ruggirello, a cui si aggiungeva l’autista della blindata Rosario Maggio, rimasero feriti salvati dall’auto su cui viaggiavano la donna ed i due bambini che la macchina del giudice stava sorpassando nel momento esatto in cui esplose l’autobomba.
Questa mattina alla presenza delle autorità civili e militari, del Prefetto, di sindaci, cittadini e studenti provenienti da varie parti di Italia, è stata deposta una corona di fiori in ricordo delle vittime.
“Oggi ci vogliono continuità e condivisione – ha detto don Luigi Ciotti, fondatore di Libera – Non si può delegare. E’ il noi che vince ed ognuno di noi è chiamato ad assumersi la sua parte di responsabilità. Unire le nostre forze per diventare una forza. Nel ricordare Barbara, Giuseppe e Salvatore dobbiamo ricordare che molte cose sono state fatte, ma c’è ancora tanta strada da fare. Le mafie ci sono ancora oggi, anche se sparano meno. Rispetto alla corruzione e alle mafie dobbiamo ricordare che oggi tra politica, mafia e corruzione i rapporti sono diffusi, disincantati e pragmatici. Il miglior modo di fare memoria è essere cittadini non in alcuni momenti, ma essere attenti. La memoria viva non è quella di una giornata o di un momento, ma che si deve tradurre in responsabilità e in impegno”.
Al discorso di don Luigi Ciotti è seguito quello di Margherita Asta, figlia di Barbara Rizzo e sorella dei due gemellini, che porta avanti il valore della memoria. “Io ero una bambina avevo dieci anni allora – ha ricordato dopo aver parlato delle varie iniziative di questi giorni – Oggi sono una donna di cinquant’anni che è dovuta ripartire dal dolore, dalle fatiche. Una donna che ha dovuto poi affrontare la perdita di mio padre. Grazie all’incontro con Libera sono riuscita a trovare un senso a quel dolore, vissuto quando mia zia mi disse dell’incidente. È grazie a Libera, la testimonianza e fare memoria di mia madre e dei miei fratelli che ho trovato il senso. Il senso della testimonianza l’ho trovato ad esempio quando un detenuto mi chiese di dedicare un libro che avevo scritto ai suoi compagni di cella che non potevano partecipare all’incontro, scrivendo come quel libro lo aveva fatto riflettere, poteva far riflettere i suoi compagni di cella. Lì ho capito che ogni granellino può far riflettere. Anche per questo siamo qua oggi”.
All’importanza della memoria, si è detto, è necessario andare oltre a quelle verità processuali ormai acclarate con le sentenze.
Ben tre i processi celebrati sulla strage.
Il primo, iniziato il 10 novembre 1987, vedeva imputati Vincenzo Milazzo, Gioacchino Calabrò e Filippo Melodia. Il 19 novembre 1989 la Corte d’Assise di Caltanissetta condannò Vincenzo Milazzo, Filippo Melodia e Gioacchino Calabrò all’ergastolo per strage, in appello, però, vennero tutti assolti. Una sentenza confermata anche dal giudice Corrado Carnevale in Cassazione.
Nel 2002 la procura di Caltanissetta chiese il rinvio a giudizio per altri quattro imputati: il capo indiscusso Totò Riina, il referente del mandamento di Trapani Vincenzo Virga, Antonino Madonia, uno dei killer più spietati dei corleonesi e Baldassare Di Maggio, già ai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato, neo collaboratore di giustizia. Tutti condannati.
Nella sentenza di quel procedimento venne sancito nero su bianco il cortocircuito che c’è stato sui veri esecutori materiali della strage. Il pentito Giovanni Brusca svelò che Riina diede ordine al capo mafia di Caltanissetta, Piddu Madonia, di “avvicinare” i giudici del processo di Pizzolungo. Altri pentiti, e le indagini successive, hanno indicato Calabrò, Milazzo e Melodia come gli esecutori. Ma non possono essere riprocessati, per via del “ne bis in idem” per cui non possono tornare imputati per un reato per il quale esiste sentenza definitiva di assoluzione.
Ma in questi anni è emerso ancora molto altro.
È emersa infatti una traccia che collega in qualche modo l’attentato ad altri delitti. Basti pensare che l’esplosivo usato era lo stesso che aveva fatto già la sua comparsa appena pochi mesi prima, il 23 dicembre 1984, quando fu utilizzato per dilaniare i vagoni del treno rapido 904 Napoli-Milano.
Negli anni passati poi c’è stato il quarto processo e la condanna definitiva a 30 anni di carcere per il boss Vincenzo Galatolo, accusato di aver ordinato l’attentato.
“Mi auguro che il percorso giudiziario non si fermi alla condanna ultima di Galatolo – ha detto il giornalista Rino Giacalone – Certo non è una condanna qualsiasi, perché riguarda uno dei personaggi più rilevanti di quel panorama criminale mafioso che colloquiava con pezzi dello Stato. Vicolo Pipitone a Palermo era il centro di questi incontri, da lì partivano i killer e da lì è partito anche l’ordine per la strage di Pizzolungo. Quarant’anni fa qui, davanti ai corpi straziati, si diceva che la mafia non esisteva. Oggi si dice che la mafia è sconfitta. Non cambia nulla. Per fortuna le indagini di quei magistrati caparbi, che riguardano la mafia ma anche la corruzione e la collusione della politica e le connessioni della massoneria, ci dicono che il panorama trapanese non va guardato come una terra di mezzo, ma di crocevia. Crocevia di mafia, istituzioni colluse e di massoneria. Basta guardare a quel 1985. Alla fine di quell’aprile 1985 venne scoperta la più grande raffineria di eroina d’Europa. Passò un anno e vennero scoperti gli elenchi segreti della Massoneria della loggia Iside 2. Poi spuntò fuori Gladio. Cos’era dunque Trapani? Su questo dobbiamo interrogarci. La strage di Pizzolungo non è un episodio per fermare un magistrato e basta. E’ stato ben altro. Non è una pagina di storia, ma una pagina di attualità. Di questo l’informazione deve parlare”.
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