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L’astronave, il pallone e le fette biscottate

Giovanbattista Tona * il . Giovani, Giustizia, Mafie, Memoria, Sicilia

Se il 2 aprile del 1985 non fosse accaduto quello che è accaduto, Margherita Asta non ricorderebbe che quella mattina chiese a sua madre Barbara di comprarle le fette biscottate, né ricorderebbe il modo con il quale salutò i suoi due fratelli. Quel momento, un po’ banale, si sarebbe dissolto nel tepore dei ricordi dell’infanzia, nella sequenza dei numerosi fotogrammi che ripetono alla memoria con piccole variazioni le abitudini del quotidiano tra le persone care.

Anche i due fratellini gemelli di Margherita, Salvatore e Giuseppe, che a sei anni coltivavano con chiassosa freschezza le loro fantasie da bambini, volare nello spazio, diventare un campione del calcio, se il 2 aprile del 1985 non fosse accaduto quello che è accaduto, si sarebbero per qualche anno divertiti ad inseguire i loro sogni, per poi da adulti ricordarli come ingenuità di cui avere nostalgia.

Quella mattina Margherita aveva ancora dieci anni; ancora una mamma e ancora due fratelli. Fino a quella mattina Salvatore e Giuseppe erano riusciti ad avere sei anni e da quella mattina in poi avrebbe dovuto avere – come si dice – una vita davanti.

Mamma Barbara era alla guida di una Volkswagen Scirocco e li stava accompagnando a scuola lungo la strada che attraversa una frazione di Erice, Pizzolungo, la Piana d’Anchise, dove il mito colloca l’approdo di Enea subito dopo la morte del padre Anchise.

Intravide di colpo quella macchina, Carlo Palermo, un magistrato che per dieci anni aveva lavorato a Trento su inchieste per traffico di armi e droga, costategli minacce e delusioni, e che su sua domanda dal 21 febbraio di quell’anno si era trasferito alla Procura di Trapani, dove riteneva di poter proseguire quelle indagini che già da Trento gli avevano fatto scoprire terminali siciliani al commercio di stupefacenti.

Carlo Palermo era trasportato su una Fiat 132 blindata, a sua volta scortata da una Fiat Ritmo non blindata; l’attenzione alla sicurezza era elevata ma di lì ad immaginare che appena due mesi dopo il suo arrivo nella nuova sede…

Lungo quella strada, costeggiata da scogli ed acqua cristallina e piena di curve, mentre l’autista Rosario Maggio guidava facendo manovre veloci e brusche, si trovarono davanti improvvisamente la Volkswagen Scirocco dove viaggiavano Salvatore, Giuseppe e mamma Barbara; lungo la curva un’altra auto era ferma sul margine destro della destra. Maggio frenò, si allargò e accelerò di nuovo, superando mamma Barbara.

L’auto ferma, carica di esplosivo, non si curò del fatto che tra lei e il suo obiettivo, quel magistrato venuto da Trento, c’era una madre che stava accompagnando i suoi gemellini vivaci a scuola e deflagrò senza pietà.

Dopo il fuoco e lo spostamento d’aria, l’auto del magistrato si accartocciò verso di lui, ma subito dopo egli riuscì a scendere.

Così descrisse quello che vide della vita che i due gemellini avrebbero dovuto ancora avere davanti: “Mi giro attorno. Vedo tutto offuscato. Una macchia rossa in alto sulla parete di una casa richiama la mia attenzione. Mi avvicino. Vi è un cancello, chiuso. All’interno, per terra, in corrispondenza della macchia in alto, piccoli resti… di un bimbo… di un elastico… fogli svolazzanti di libri di scuola. Ho gli occhi umidi. Ritorno alla mia auto.”[1]

La mafia che a Trapani non esisteva, quella che aveva rispetto per le donne e per i bambini, con la stessa logica della guerra nella quale per ottenere il risultato si bombarda a tappeto, aveva raso al suolo la serena quotidianità di una famiglia.

E ricordare il disprezzo delle mafie per le vite dei bambini serve non solo a commuoversi per quei ragazzi che non ci sono più, perché le polveri esplosive li hanno resi una chiazza di sangue sottraendoli al futuro; deve anche servire ad indignarsi per come ancora oggi, in tanti quartieri carichi di disagio sociale e in tante piazze di spaccio dove venditori e clienti sono spesso, con altre polveri e sostanze diversamente esplosive, la stessa callida spregiudicatezza porta le organizzazioni criminali a perseguire i loro affari sconquassando la vita, la spensieratezza, la salute e il futuro di tanti giovani.

I sogni dei gemellini Asta, che a loro non si possono restituire più, sono oramai immortalati in un commuovente verso di una canzone dei Modena City Ramblers: “Di colpo la notte su quella strada, solo una macchia rossa sul muro, con l’astronave ora Beppe volava. Tore con la palla sul prato giocava…”[2]

Ai bambini che oggi la criminalità può colpire, uccidendone l’infanzia e corrompendone le speranze, dobbiamo saper dare quei sogni, quella astronave, quel pallone, e forse anche qualche fetta biscottata, che ai piccoli Asta non possiamo più dare.

* Magistrato, Tribunale di Caltanissetta

Fonte: Area Democratica per la Giustizia

***

Note

[1] Carlo Palermo, L’attentato, Trento, 1992, p. 199 s.

[2] Modena City Ramblers, Beppe e Tore, brano tratto dall’album, Niente di nuovo sul fronte occidentale, 2013.

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