Liberare le nostre menti per un futuro di pace
Pierluigi Ermini il . Diritti, Economia, Giovani, Guerre, Istituzioni, Toscana
“Gli uomini non sono prigionieri dei loro destini, ma sono prigionieri delle loro menti”, sono le parole di Franklin Delano Roosevelt, l’unico Presidente degli Stati Uniti eletto per 4 volte e che attraversò in pieno anche gli anni della seconda guerra mondiale.
Credo che queste parole siano oggi più che mai attuali in un tempo in cui, dopo un periodo di pace vissuta nelle nostre città, si torna a respirare un’aria di guerra, sia essa vissuta realmente con le armi, che attuata attraverso il commercio, che attraverso la riaffermazione dell’uomo solo al comando anche nelle nostre democrazie, che nella negazione, che avviene anche nel nostro Occidente, del valore superiore del diritto internazionale e della dignità di ogni persona, e la riaffermazione della legge del più forte.
Credo che l’opinione pubblica, in un lento e sempre più diffuso disinteresse della vita pubblica, sia ogni giorno sempre più prigioniera di questi pensieri.
E mentre la nostra vita personale scorre presa dai piccoli o grandi problemi quotidiani, chiusi in quell’io che non da spazio al “noi” che invece ci aiuterebbe a essere uomini e donne più liberi, questa prigione del pensiero si fa sempre più strada nella nostra mente.
D’altronde il linguaggio della politica, dove non ci sono più di avversari ma di nemici, il modo di porsi dei potenti della terra di fronte ai grandi temi del nostro tempo, dove all’atteggiamento di solidarietà e di condivisione dei valori si sostituisce quello degli affari e del proprio interesse, il modo di comunicare e di stare sui social media in quella che altro non è se non una finta libertà, il disinteresse di quasi tutti i paesi nell’investimento in cultura ed istruzione, rende le nostre menti sempre più prigioniere di un pensiero unico dove l’altro, il diverso è colui che ostacola la mia libertà e va combattuto, isolato, messo in condizione di sudditanza.
In questa prospettiva è chiaro che la pace non è più il valore su cui basare la nostra convivenza nel mondo e torna di moda la convinzione che “se vuoi la pace, prepara la guerra”.
Eppure, è proprio in questo tempo così difficile che a chi non intende sottostare alla prigione delle proprie coscienze e menti spetta reagire.
D’altronde dicevano i nostri nonni contadini che occorre seminare di più proprio nei momenti di carestia, o come ci ricorda un grande filosofo, mistico e scrittore indiano del secolo scorso, Paramahansa Yoga, “La stagione del fallimento è il momento migliore per seminare i semi del successo”.
E noi stiamo vivendo, soprattutto in Occidente, il fallimento del nostro modello economico e sociale.
È il compito che spetta ai tanti che pensano che la pace sia il valore superiore in questa nostra vita e anche chi ha responsabilità politiche, amministrative e sociali in uno specifico territorio non può non operare al suo interno.
La mia riflessione nasce dopo la lettura di un bellissimo articolo scritto da Stefano Zamagni, economista italiano, ex presidente dell’Agenzia per il terzo settore ed ex presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, pubblicato dal quotidiano “Avvenire” dal titolo “Disarmare le menti”.
Nel suo articolo Zamagni ci ricorda che in un tempo in cui molti parlano di guerra un seme che potrebbe germogliare è la verità per cui “la guerra non è un dato di natura, ma un frutto marcio di persone che la vogliono. La guerra è il fallimento della politica dove si sviluppano ideologie che insegnano ad odiare: il vicino, il diverso, il povero…”.
A questa sottocultura occorre ribellarsi e non bastaneranno piazze, marce, singole iniziative, se non si inizierà una seria strada di inversione di rotta che coinvolge tutti, mondo sociale e anche istituzioni locali.
Occorre dare vita anche nei singoli territori a politiche della pace che investono il mondo della cultura, con progetti mirati a diffondere un modo nuovo di pensare in grado di liberare le menti dell’opinione pubblica, ad iniziare dalle nuove generazioni.
Leggendo questo articolo mi viene in mente anche la responsabilità che hanno i politici e amministratori locali su un tema che sta ritornando ad essere centrale nella nostra vita sociale.
Sarebbe importante anche qui nel nostro Valdarno dare vita a una azione amministrativa concreta, fatta di progetti specifici nelle scuole, di incontri rivolti agli adulti, di una scuola di pace aperta ai cittadini, di momenti di riflessione comuni, frutto di un percorso mirato perché è in gioco il nostro futuro.
Mi verrebbe da pensare che la conferenza dell’istruzione potrebbe dedicare delle risorse per fare un progetto specifico nelle scuole prolungato nel tempo, e non interventi spot portati avanti falle singole scuole (che sul tema hanno comunque una grande sensibilità), e che i sindaci valdarnesi possano dar vita a un comitato per la pace in grado di progettare un percorso che attraversi tutto il Valdarno rivolto agli adulti, coinvolgendo il mondo associativo.
Abbiamo la fortuna di avere nel nostro territorio un’esperienza unica come quella di “Rondine cittadella della pace”, che dovrebbe essere coinvolta dai comuni in questa nuova strada da percorrere. Sono certo che saprebbero proporre ai comuni un percorso da portare avanti nel tempo.
Credo che oggi i comuni dovrebbero investire risorse economiche su questo tema e che le amministrazioni dovrebbero tornare ad occuparsi anche di temi nazionali ed internazionali che riguardano il futuro del nostro pianeta, magari rinunciando ad iniziative poco importanti o a qualche “festa mangereccia” sicuramente di minor valore e significato, dato i tempi che stiamo vivendo.
E magari a livello regionale ripristinare nella prossima legislatura in Toscana un assessorato alla Cooperazione Internazionale, al Perdono e alla Riconciliazione dei Popoli, come fu portato avanti tra il 2005 e il 2010.
Consiglio a tutti coloro che si rendono conto di quanto stia diventando dirimente per il nostro futuro costruire rapporti internazionali basati sul rispetto della dignità delle persone e sulla pace tra i popoli, di leggere l’articolo di Zamagni e di sentirsi coinvolti in questo processo di liberazione della nostra mente, dalla prigione che invece ci stanno costruendo gli attuali potenti della terra.
“Occorre dunque resistere, con saggezza e tenacia, perché tali persone non abbiano l’ultima parola nella formazione dell’opinione pubblica…L’odio è il più coesivo dei sentimenti politici, perché tiene assieme una moltitudine e ne fa una totalità obbediente”.
A questa non-cultura dobbiamo ribellarsi, da questa non-cultura devono ribellarsi le nostre menti e chi ha responsabilità anche amministrative deve essere attore di questa liberazione.
Che bello sarebbe che, dalla terra fertile di Rondine, anche tutto il territorio intorno si facesse promotore di una cultura unitaria per la pace.
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