Così il governo “ruba” la memoria di Falcone
L’articolo di Saul Caia e l’intervista di Giuseppe Pipitone ad Alfredo Morvillo pubblicati su questo giornale testimoniano una vera e propria “appropriazione indebita” della figura e del pensiero di Giovanni Falcone ad opera del partito “Forza Italia – Berlusconi Presidente”. Un’operazione spregiudicata. Ai limiti della correttezza.
Il partito di Berlusconi pullula di personaggi dichiarati mafiosi o para-mafiosi con sentenza, a partire dal suo co-fondatore Dell’Utri . Falcone, fin dei tempi del maxi processo, nell’area di Berlusconi era considerato un esempio negativo (V. Fumagalli Carulli, Maccartismo a Palermo, Il Giornale 19.11.88). Oggi invece, et voilà: a Palermo, in un affollato comizio, l’ignaro Falcone è sbattuto con un magheggio sui manifesti di FI, per propagandare la separazione delle carriere, tanto cara a B. e al Venerabile Gelli, certamente non per spirito filantropico.
Base di lancio è un’intervista di Mario Pirani su ”la Repubblica” del 13.10.91. Falcone nota che nel nuovo processo accusatorio “il Pm raccoglie e coordina gli elementi di prova da raggiungersi nel dibattimento, dove rappresenta una parte in causa”; mentre “il giudice si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti”. Ma tutto ciò è contraddetto dal “fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano in realtà indistinguibili gli uni dagli altri”.
Va detto che in passato “separazione delle funzioni” e “delle carriere” erano concetti quasi intercambiabili. La prima era disciplinata a maglie larghissime, per cui di fatto il Pm che voleva diventare giudice e viceversa poteva farlo dalla sera alla mattina, stando nello stesso palazzo di giustizia: il che era francamente inopportuno, perché determinava proprio quella “intercambiabilità” e “indistinguibilità” che secondo Falcone erano all’origine del problema dei rapporti tra Pm e giudici.
Tant’è vero che oggi non è più così. Il pm che voglia passare a giudice e viceversa deve soddisfare precisi requisiti e accettare di essere trasferito in un’altra regione, per cui di magistrati che cambiano funzioni ve ne sono ogni anno meno di 10.
Tutt’altra cosa è la “separazione delle carriere”, che comporta due concorsi di assunzione, due CSM, due diversi percorsi professionali. E attenzione: ovunque nel mondo vi sia separazione delle carriere, sempre il Pm deve ottemperare agli ordini del potere esecutivo, che pertanto sarà lui a stabilire chi perseguire e chi no, per quali reati e fino a che punto. Un trionfo per chi predilige la giustizia à la carte. Ma il persistere nel nostro Paese, trasversalmente, di zone grigie di collusione fra pezzi del mondo politico con il malaffare, sconsiglia nel modo più assoluto di accettare qualunque forma – anche in via di mera ipotesi sperimentale – di sottomissione del PM al potere esecutivo.
Tornando a Falcone, un profilo decisivo di cui farsi carico è la contestualizzazione delle sue opinioni, il fatto cioè che egli parlava in un’epoca tutt’affatto diversa da oggi.
Falcone ovviamente ignorava tutta una serie di importantissimi fatti e circostanze verificatisi dopo la sua morte. Ignorava le conseguenze di Tangentopoli e Mafiopoli sui rapporti tra magistratura e politica, sempre più caratterizzati da attacchi furibondi contro i magistrati, con insulti che neanche il peggior guitto di barriera. Ignorava che tutto ciò avrebbe portato a valutare gli interventi giudiziari col metro della convenienza e non della correttezza. Falcone non poteva immaginare che alcuni imputati “eccellenti” sarebbero arrivati al punto di contestare il processo per delegittimarlo, quasi replicando impropriamente alcune cadenze del cosiddetto processo di rottura degli anni di piombo.
Neppure Falcone poteva sapere che l’ultimo sviluppo di questa deriva (e siamo ai giorni nostri) si registra con la tendenza del Governo – quasi un riflesso pavloviano – a vedere nel magistrato che fa un provvedimento che non gli piace un pericoloso nemico della patria da “rieducare”. Falcone non poteva sapere che la separazione delle carriere sarebbe stata il coronamento e il suggello di tutto questo percorso.
Ho sempre considerato riprovevole cercare di far parlare i magistrati morti (come si fosse a una seduta spiritica) per far dire loro cosa avrebbero fatto. Ma qui la prospettiva è diversa, in quanto basata sulla logica dei tanti “non poteva sapere” sopra elencati. Confido pertanto che l’interlocuzione con Falcone mi sarà perdonata.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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