L’umiliazione extra dei detenuti e “l’effetto gregge” nelle carceri
“Butta la sigaretta, bussa e dì buongiorno”, ordina il poliziotto convinto che così svolge anche una funzione da educatore. E il detenuto, che magari aveva preso a raffiche di mitra varie persone, ubbidisce come un bambino. Scopo reale della pena è (ancora) quello di eliminare l’identità dei carcerati, che si lasciano pascolare come un gregge di pecore mansuete, disposti ad accettare quel “di più di umiliazione che è funzionale a una carcerazione tranquilla”.
Ho ritrovato queste frasi in uno scritto datomi tempo fa da un amico, esperto di questioni penitenziarie. Sono parole di un’asprezza crudele. Che però appartengono tuttora al bagaglio culturale del legislatore, almeno quello del “pacchetto sicurezza” approvato dalla Camera e ora in discussione al Senato.
Il nostro sistema carcerario, con ben 88 suicidi nello scorso anno, è allo sfascio. Il sovraffollamento cancella gli spazi necessari alla rieducazione del condannato. Siamo quindi ai limiti della Costituzione. E ora nel “pacchetto” troviamo l’incredibile previsione come reato della condotta di resistenza passiva – di fatto pacifica – agli ordini impartiti in carcere.
E come se non bastasse, il nuovo reato è inserito nel catalogo di quelli ostativi ai benefici penitenziari, insieme ai delitti dei terroristi e mafiosi irriducibili. Dunque una norma che non ha nulla a che fare con il miglioramento della sicurezza delle carceri, anzi ne rende ancora più rabbioso e muscolare il clima.
Come dare torto allora a chi critica duramente il “pacchetto” su un piano generale ma riferibile ancor meglio al settore delle carceri? Lo si definisce, ad esempio, come il più grande attacco alla libertà di protesta pacifica della storia repubblicana; o come un provvedimento diretto a infondere non sicurezza ma paura. In sostanza siam rimasti al “gregge”, quasi che i detenuti non fossero uomini, da rispettare anche nell’esecuzione della pena.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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