Cosa resta dell’arresto di Matteo Messina Denaro a due anni di distanza? Una certezza e tante domande.
La certezza riguarda la professionalità, la dedizione, il coraggio di quanti produssero quel risultato: Forze dell’Ordine e magistrati, che ebbero lo straordinario merito non tanto di trovare la pista giusta (di piste giuste se ne erano trovate eccome nei decenni trascorsi), ma di difenderla fino all’ultimo da interferenze deleterie. Grazie!
Le note positive finiscono qui.
L’arresto di Messina Denaro è servito a far dire ad alcuni che la mafia era stata definitivamente debellata con l’arresto dell’ultimo boss e che di conseguenza l’Italia avrebbe potuto finalmente liberarsi di tutte quelle abnormità giuridiche che si erano rese necessarie per contrastare l’emergenza rappresentata dalla mafia corleonese: basta col carcere “duro”, basta con la necessità di collaborare per accedere ai benefici, basta con le misure di prevenzione patrimoniali, basta con la “super procura” buona soltanto ad impalcare tragedie, basta con le intercettazioni troppo lunghe… Falsa la premessa, pericolosissime le sue pretese conseguenze.
La rete altolocata di protezioni di cui ha potuto godere per decenni Messina Denaro resta ad oggi tanto misteriosa che se ne potrebbe ben revocare in dubbio l’esistenza medesima: per ora sappiamo di medici compiacenti e di amanti compiaciute, sappiamo di qualche “mela marcia” ovvero di qualche servitore infedele dello Stato che, non sapendo resistere alle lusinghe del boss filosofo, si è venduto le informazioni sulle indagini (per carità, anche qualche “melona” di primo piano come un Presidente di Regione!). Tutto qua?
Per fare un esempio: esiste una connessione tra la fine della latitanza di Messina Denaro e la “resa” in carcere dell’ex potente Antonio D’Alì, condannato definitivamente per concorso esterno ai primi di dicembre del 2022 e consegnatosi ad Opera il 14 dello stesso mese? Una figura, quella di D’Alì, che meriterebbe una attenzione non inferiore a quella che si dedica a Marcello Dell’Utri: vero è che D’Alì non ebbe i meriti di Dell’Utri nella fondazione di Forza Italia, ma all’interno di quel partito non esercitò certo una influenza trascurabile.
I “segreti” che Messina Denaro avrebbe custodito e che avrebbero rappresentato il suo lasciapassare almeno fino al fatidico 16 gennaio 2023 sono ora sepolti con lui. Lui che forse qualcosa avrebbe pure raccontato a qualche sagace giornalista, ma di cui niente ha voluto dire a quei “cornuti” di magistrati (che quindi bene hanno fatto ad impedire qualunque intervista). Sepolta, per esempio, la verità sull’archivio di Totò Riina, portato via nottetempo dall’ultima abitazione del capo dei capi, col favore delle tenebre e della distrazione di chi avrebbe dovuto sorvegliare.
Ma soprattutto resta ad oggi avvolta nel mistero la “meccanica” di quello straordinario colpo di prestigio che fu la profezia di Salvatore Baiardo che nel novembre del 2022 affidò a Massimo Giletti l’oracolo definito, col velenoso commento: sarà un bel regalo per il nuovo governo. Ora, intendiamoci, nessuno è così cretino da abboccare alle parole di un delinquente come Baiardo, già condannato in via definitiva proprio per aver favorito i Graviano anche attraverso il sistematico ricorso alla menzogna.
Nessuno in generale dovrebbe lasciarsi impressionare dalle parole sapientemente spese davanti ad una telecamera da personaggi come questo, nemmeno se la telecamera è nascosta, nemmeno se la telecamera è segreta: la telecamera, certa o presunta che possa essere, è una tentazione irresistibile per mandare “messaggi” e trattare. Vale per Baiardo, vale per lo scomparso Riina, vale per Graviano, etc. Ma nel caso della profezia sull’arresto, non siamo di fronte a parole prive di riscontro, che valgono meno dello scherzo di un bambino: siamo di fronte a parole così “riscontrate” dai fatti da diventare un caso nel caso.
Qual è stata la “meccanica” di quella profezia? Cioè, come si è arrivati a quella intervista? Chi ne era stato messo al corrente? E’ stato un azzardo fortunato o Baiardo sapeva davvero qualcosa? Baiardo ha sempre parlato per fare gli interessi dei Graviano: esiste un collegamento anche in questa circostanza? C’entrano le aspettative che avrebbe soprattutto Filippo di accedere a qualche beneficio carcerario nell’anno in corso? Sono domande che mi assillano ancor più di quelle relative alla fantomatica foto che ritrarrebbe insieme Berlusconi, Delfino e Graviano, che potrebbe rivelarsi un bluff, buono a distrarre, ancora una volta, dalla sostanza degli eventi.
Domande che dovrebbero assillare pure la Commissione parlamentare antimafia, che si è trovata tra le mani, per fortunata circostanza, l’Armageddon di tutta l’antimafia – ovvero l’arresto dell’ultimo boss stragista in circolazione – ed è riuscita, con una “eleganza” abbacinante, a far finta di niente. La stessa abbacinante eleganza di chi, davanti alla villa di Totò Riina appena arrestato, preferì spegnere tutto e farsi da parte. L’invadenza, d’altra parte, è una tale cafonata!
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello