L’Odissea dei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza
Lunedì 30 dicembre il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha sospeso le nuove tariffe dei LEA, le prestazioni che il SSN deve fornire a tutti i cittadini in ogni parte d’Italia.
Riavvolgiamo un po’ il nastro per capire meglio la storia. L’ultimo aggiornamento dei LEA è del 2017, dopo molti anni dal precedente (a metà degli anni ‘90). Le norme restano però ai blocchi di partenza, in attesa che siano aggiornate le tariffe che dovranno essere rimborsate alle strutture sanitarie pubbliche e private convenzionate che forniranno la prestazione.
Un’attesa lunga: solo lo scorso 26 novembre un decreto del Ministero della Salute ha stabilito tariffe e lista definitiva delle prestazioni rese disponibili. Queste vanno dalla procreazione medicalmente assista passando per le più moderne protesi per gli arti, per i nuovi screening neonatali agli apparecchi acustici digitali, alle attrezzature per la domotica e i sensori di comando, ai sistemi di riconoscimento vocale; fino alle nuove terapie oncologiche, alle diagnosi di celiachia e a molte malattie rare. In tutto circa 3.000 prestazioni, con un aumento di circa 550 milioni di euro rispetto alle tariffe che erano state rideterminate nel 2012.
Le associazioni che rappresentano gli ambulatori, i poliambulatori e l’ospedalità privata hanno contestato le tariffe stabilite, ritenendole troppo basse. Per questo il TAR del Lazio ha bloccato il decreto e stabilito per il 28 gennaio la discussione in camera di consiglio. Una decisione che avrebbe gettato nel caos tutto il sistema, rischiando il blocco nell’erogazione delle nuove prestazioni, ma anche creando il caos nel sistema informatico delle ASL/ATS/ASST che era già stato aggiornato con le nuove tariffe.
Di fronte a questi rischi, il Ministero ha reagito illustrando al TAR l’estrema difficoltà che si sarebbe venuta a creare con il blocco del decreto, che avrebbe potuto provocare la sospensione di migliaia di prestazioni e quindi un grave danno per i cittadini. Il TAR ha dunque modificato la sua precedente decisione e ha ritirato la sospensiva, ma ha confermato per il 28 gennaio la discussione definitiva.
L’ampio e ramificato sistema della sanità privata convenzionata con il servizio sanitario pubblico ha mostrato in modo esplicito l’enorme potere di cui dispone. Non solo può mettere in una condizione di stallo il SSN attraverso un semplice ricorso al TAR, ma potrebbe un domani decidere di convenzionarsi solo per quelle prestazioni per le quali siano previsti rimborsi più vantaggiosi creando enormi problemi ai cittadini (uno su tutti l’aumento delle liste d’attesa), e mostrando tutta la debolezza e ricattabilità del SSN.
Infatti, se il privato convenzionato non ritiene soddisfacenti le cifre stabilite per i rimborsi, dispone di svariate possibilità per raggiungere i propri obiettivi di profitto: scelta delle prestazioni da mantenere dentro la convenzione e di quelle da gestirsi solo con pazienti solventi; amplificazione delle pratiche per dirottare sul proprio settore privato una buona parte dell’utenza, quella che ancora riesce a disporre di sufficienti risorse economiche.
Ricade invece sul Servizio sanitario pubblico il dovere di garantire comunque le prestazioni previste dai LEA a tutti i cittadini. Ne consegue l’accumularsi degli straordinari (spesso non pagati) degli operatori, gli stipendi insufficienti, i ritmi insostenibili, le liste d’attesa infinite. Con la speranza, per le strutture della sanità pubblica, di ottenere a fine anno un ripiano del bilancio per non essere altrimenti costretti a nuovi tagli e chiusure di servizi.
Non c’è dubbio che le cifre stanziate per la sanità per il 2025 e per i prossimi anni siano assolutamente insufficienti come da più parti ampiamente dichiarato. Diminuisce infatti sempre di più la percentuale della spesa sanitaria sul PIL e in rapporto agli altri Paesi OCSE, obbligando milioni di persone a rinunciare a curarsi.
L’assordante silenzio dei manager della sanità pubblica a fronte di uno stanziamento assolutamente insufficiente deriva dalla struttura piramidale del nostro SSN, dove centinaia di direttori generali sono nominati politicamente e quindi sono pronti a chinare il capo e a chiudere la bocca di fronte al principe di turno.
Se il 28 gennaio la camera di consiglio al TAR si concluderà con una disponibilità da parte del ministero ad una revisione delle cifre stabilite, la sanità privata presenterà pubblicamente questo risultato come la conquista di un aumento complessivo dello stanziamento per la sanità. Obiettivo mancato dalle recenti mobilitazioni sindacali, destinate in tal modo a perdere ulteriore peso e credibilità. La realtà è però ben diversa. Infatti, i vantaggi di una eventuale vittoria ricadranno in gran parte sulle strutture private accreditate perché non si tratterà di un aumento complessivo e generalizzato della spesa sanitaria, ma di aumenti mirati alle prestazioni gestite in parecchi casi dal privato convenzionato e a questo rimborsate dalle istituzioni pubbliche.
Ho sempre sostenuto che il problema non è un generico aumento della spesa sanitaria, ma un aumento delle risorse destinate alla sanità pubblica e una profonda modifica del rapporto pubblico-privato convenzionato, che restituisca al primo il ruolo di dominus dalla programmazione, alla scelta di chi, come e per cosa convenzionare.
Se vuoi ricevere Diritti in Salute – la newsletter di Vittorio Agnoletto – clicca qui
Trackback dal tuo sito.