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Lotta alle mafie, tira una brutta aria

Gian Carlo Caselli il . Chiesa, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria, Politica, Sicilia

È d’uso, all’inizio dell’Anno nuovo, fare il punto sui più gravi problemi che il Paese deve affrontare.

Tra questi rientra il contrasto della persistente presenza delle mafie (‘ndrangheta, Cosa nostra, camorra, mafia pugliese o quarta mafia), nonostante i forti colpi subiti. Contrasto che deve essere continuamente e fortemente evocato, anche per impedire la rimozione del problema dietro una cortina di indifferenza se non di assuefazione. Nella “classifica” di pericolosità, Cosa nostra, per lungo tempo al primo posto, è stata soppiantata dalla ‘ndrangheta, anche per la sua espansività in Europa e nel mondo.

Nel perimetro di Cosa nostra, peraltro, si sono registrate di recente vicende che meritano speciale attenzione. La mafia oltre che crimine organizzato è anche impoverimento della collettività, impedimento allo sviluppo, gravissimo peccato sociale: come aveva urlato ad Agrigento Papa Wojtyla qualche mese prima che a Brancaccio, nel feudo dei fratelli Graviano, si scatenasse la vendetta contro il parroco don Puglisi.

E proprio da don Puglisi parte la mia riflessione. Egli non era “antimafia” o “anti-qualcos’altro”. Egli infatti era un prete “per”, un uomo del Vangelo vicino ai giovani di Brancaccio che cercava di offrire e di costruire con loro alternative di vita rispetto alla presenza egemonica di Cosa nostra. Che non può tollerare una simile “concorrenza” sul suo territorio e per questo motivo ha ucciso padre Puglisi.

Oggi, incredibilmente, sta succedendo un fatto molto grave. Si tratta dello stop (o del ritardo ingiustificato) che il Consiglio comunale di Palermo fa registrare per la costruzione dell’asilo che Don Puglisi aveva tenacemente voluto. I familiari del sacerdote martire della mafia hanno scritto una lettera che val la pena riprodurre: “potete trovare tutte le scuse che l’ingegno umano può partorire (…) ma mentre voi gridate e sgomitate nel mettere sul piatto le vostre giustificazioni, la mafia alleva bambini alla propria scuola, sussurrando parole di vendetta contro quella parte delle istituzioni e degli uomini (come il nostro caro Pino) che hanno tentato di sconfiggerla”.

Una condanna senza appello, espressa dai familiari che vivono lacerati da un dolore dell’anima che toglie il respiro, ma che hanno saputo trasformarlo in testimonianza pubblica per la ricerca di verità e giustizia.

Il secondo fatto che si registra oggi a Palermo, segnalato sulle pagine locali di Repubblica da Salvo Palazzolo il 2/1/25, è la concessione si direbbe inarrestabile di “permessi premio” a mafiosi irriducibili di Cosa nostra condannati all’ergastolo.

L’esempio più recente è quello di Raffaele Galatolo, killer dell’Acquasanta, strangolatore seriale dei nemici di Riina nel famigerato vicolo Pipitone, al quale è stato concesso dal Tribunale di Sorveglianza di Napoli di ritornare a casa per trascorrervi le vacanze di Natale e Capodanno. E ciò in quanto “detenuto modello”.

Galatolo è l’ultimo di una lunga lista di mafiosi irriducibili che hanno beneficiato di vacanze premio per “buona condotta”, mentre l’esperienza insegna in modo univoco che la buona condotta per i mafiosi è una regola che essi stessi si auto impongono, proprio per poter accedere ai benefici dell’ordinamento penitenziario, di tal che non è logicamente consentito ricollegarvi una qualche forma di resipiscenza rispetto ai gravi delitti commessi. Prova ne sia che alcuni di loro, approfittando del ritorno a Palermo, hanno ripreso a delinquere.

Tutti questi fatti (gli ostacoli contro la costruzione dell’asilo e il ritorno a casa di molti ergastolani in permesso premio) non possono non essere stigmatizzati come gravi e capaci di indebolire la preziosa attività antimafia che continua, in particolare da parte della Procura di Palermo sotto la valida guida di Maurizio De Lucia.

Un’ultima osservazione: anche Chiara Colosimo, Presidente della Commissione parlamentare antimafia, dovrebbe sentirsi in obbligo – nell’interesse pubblico – di occuparsi delle vicende sopra illustrate.

Ma invece di fare la guerra alla mafia sembra preferire gli attacchi a un componente della sua Commissione come Roberto Scarpinato (“reo” di pensarla diversamente da lei e dalla sua maggioranza), che come magistrato di Palermo ha svolto un’efficace azione antimafia ricoprendo vari ruoli importanti ed esponendosi con coraggio ai rischi conseguenti.

Un paradosso degno delle opere teatrali di Pirandello, ma che stona pesantemente in un’istituzione pubblica incaricata di contrastare la mafia.

Fonte: La Stampa

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