Dal voto di preferenza al voto di scambio politico-mafioso
Il voto da strumento democratico rischia di diventare mezzo per gestire interessi privati. La cronaca di casi e le indagini emerse durante le ultime elezioni consegnano una realtà diffusa, nella quale la corruzione entra nelle amministrazioni anche prima che vengano nominate ed inizino a lavorare, proprio attraverso forme di clientelismo elettorale. Cosa fare per tutelare un diritto e non allontanare ancora di più i cittadini dalla politica. Analisi del fenomeno e suggerimenti per prevenire e contrastare.
Nel documento allegato al decreto di scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa, tra i fatti e le circostanze che hanno determinato il provvedimento vengono spesso riportate le modalità attraverso le quali si è consumato un “patto elettorale” tra candidati al consiglio comunale e consorterie locali o la circostanza della presenza di candidati direttamente legati alla criminalità locale.
La criminalità, in queste fattispecie che determinerebbero lo scioglimento del comune, controllerebbe un certo numero di elettori (sia con minacce che in cambio dell’erogazione di denaro) che esprimerebbero il loro voto di preferenza per un candidato. L’accordo fra candidati e consorterie, che nel linguaggio comune viene definito “voto di scambio”, per il codice penale, è il reato di “scambio elettorale politico-mafioso” e punito con una pena che va dai 4 ai 10 anni di reclusione per chi ottiene la promessa dei voti della criminalità organizzata.
Definizione e prassi
Lo “scambio elettorale” che consegue dalla locuzione “voto di scambio”, prima che, nel 1992, venisse contemplato nel codice penale, era stato definito negli anni ’70, dai professori Arturo Parisi e Gianfranco Pasquino nello studio dei comportamenti degli elettori, secondo il principale criterio di scelta utilizzato dagli stessi. Così, oltre al voto di scambio, era stato definito il voto di appartenenza (per coloro che fideisticamente votano in ogni elezione per lo stesso simbolo) e il voto di opinione (criterio utilizzato dagli elettori che basano la loro scelta sull’opinione che scaturisce dal documentarsi su partiti, candidati, programmi elettorali e sulla politica più in generale).
La definizione di voto di scambio data da Parisi e Pasquino conduceva direttamente al concetto più ampio del clientelismo politico e del consenso, soprattutto per i partiti di governo, che derivava da questo scambio.
Il voto di scambio, al pari di una qualsiasi operazione commerciale, sarebbe un contratto di dare ed avere dove una “merce”, più o meno certa, sarebbe il voto da parte dell’elettore (l’incertezza potrebbe derivare dalla segretezza con cui viene manifestato) e l’altra “merce” potrebbe avere varia natura ed entità diversa (dalla concessione di un provvedimento di competenza del sindaco, ad un contributo, a un posto di lavoro, o una raccomandazione per trovare un posto di lavoro, ma anche un appalto di lavori e servizi, ecc.) e/o il pagamento in denaro.
In questa prospettiva il voto di scambio assume sempre un’accezione negativa. Ma non mancano nelle scienze sociali studi approfonditi che attribuiscono al clientelismo politico – e conseguentemente al voto di scambio – una qualche valenza positiva in alcuni contesti dove tale criterio di scelta dell’elettore produce ricadute concrete per la collettività.
La definizione operativa del voto di scambio è quasi sempre il voto di preferenza, cioè la scelta di uno o più candidati da una lista. Il voto di preferenza è una possibilità prevista in alcuni sistemi proporzionali. In Italia abbiamo il voto di preferenza nei sistemi per il rinnovo dei consigli comunali, dei consigli regionali e nelle elezioni per il Parlamento Europeo.
Per concretizzarsi il voto di scambio deve verificarsi la “vicinanza” fra candidati ed elettori. Per cui nelle elezioni europee, con i candidati che competono in circoscrizioni vastissime, la distanza fra candidati ed elettori limita, di fatto, l’esercizio di tale tipo di scelta, anche se non sono mancate condanne per questo reato di candidati all’Europarlamento.
Non solo sud e non solo mafia
I candidati che si sono presentati alle comunali e alle regionali che sono stati condannati per voto di scambio politico-mafioso sono soprattutto delle regioni meridionali, cioè in quei territori dove la criminalità organizzata è più presente e più sovente riesce ad infiltrarsi nelle istituzioni locali, ma non mancano casi abbastanza rilevanti anche in alcune regioni del Centro e del Nord, a conferma – se mai ce ne fosse bisogno – dell’infiltrazione della delinquenza organizzata nei territori oltre i confini delle regioni meridionali.
Un caso fra tutti quello dell’ex-assessore della Regione Lombardia, Domenico Zambetti, che ricandidatosi alle elezioni regionali del 2010, versò a una cosca di ‘ndrangheta la somma di 200mila euro per ottenere in cambio un pacchetto di 4.000 voti di preferenza (cioè, 50 euro a voto). Negli ultimi anni vi sono state altre condanne per lo stesso reato di candidati ai consigli regionali, anche se la maggior parte di condanne per questo reato riguardano candidati sindaci e consiglieri comunali.
La compravendita dei voti non è, comunque, un’esclusiva della criminalità organizzata. Nel “mercato elettorale” operano anche presunti “imprenditori politici”, non legati alla criminalità, in grado di proporre al migliore offerente consistenti pacchetti di voti. E i contraenti del patto di scambio di questa particolare merce non badano certamente al simbolo sotto il quale si presentano agli elettori.
Andando indietro nel tempo, nell’aneddotica troviamo il primo politico, l’armatore e sindaco di Napoli, Achille Lauro, che interpretò in modo singolare la campagna elettorale attraverso il voto di scambio: regalava all’elettore la scarpa sinistra prima del voto con la promessa di regalargli la scarpa destra solo a risultato elettorale acquisito. E, in epoche a noi più vicine, oggetto dello scambio del proprio voto diventano, oltre al denaro, cose molto concrete quali borse di generi alimentari, bollette dell’energia elettrica, bollette dei tributi comunali per l’acqua e la spazzatura, ecc.
Cosa fare per salvare la democrazia
Per evitare questo mercimonio, soprattutto contrario ai principi della pratica democratica, ingenuamente si potrebbe pensare di eliminare dai sistemi elettorali il voto di preferenza. Ma nel tenere presente che le elezioni sono lo strumento principale del funzionamento della democrazia, non potrebbe essere questa la soluzione. Fra le cause del preoccupante astensionismo dobbiamo annoverare, infatti, la mancata possibilità per il cittadino di scegliere i propri rappresentanti e che ciò può avvenire, nei sistemi proporzionali, solo attraverso il voto di preferenza.
L’attuale sistema elettorale con le liste bloccate, cioè senza voto di preferenza, ci consegna un Parlamento quasi esclusivamente composto da “nominati” che non sono indicati, di fatto, dai cittadini. Oltretutto non sarebbe possibile, comunque, ipotizzare un sistema diverso da quello attuale, cioè con il voto di preferenza, per la scelta dei consiglieri comunali. Mentre per la scelta dei consiglieri regionali si potrebbe adottare un sistema simile a quello per i vecchi consigli provinciali, con il territorio regionale suddiviso in collegi uninominali.
Il fenomeno dello scambio politico-mafioso nei comuni è, dunque, abbastanza diffuso, così come attestato dalle numerose e pesanti condanne intervenute nei confronti di coloro che ottengono voti di scambio. Forse un’auspicabile intensificazione dei controlli delle forze dell’ordine, prima e dopo il voto, riuscirebbe a svolgere un’azione deterrente che potrebbe portare ad una limitazione, se non alla scomparsa, di tale reato che si perpetra, soprattutto, ai danni della democrazia, anche perché il periodo di commissariamento dei comuni sciolti per mafia è comunque una “sospensione” della democrazia.
* Professore associato di sociologia politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria
Fonte: Avviso Pubblico
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