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Ostpolitik

Danilo De Biasio * il . Diritti, Economia, Guerre, Informazione, Istituzioni, Memoria, Politica

Rovistando in vecchi armadi, insieme all’odore pungente della canfora, è riemersa questa parola: ostpolitik. Ostpolitik è una parola che nel corso degli anni è stata vestita di più significati.

Originariamente indicava il riavvicinamento tra le due Germanie che l’allora cancelliere socialdemocratico Willy Brandt cominciò nel 1966, ma nel corso degli anni arrivò a indicare il passaggio dallo scontro alla strategia dell’attenzione dell’intera Europa Occidentale verso il blocco sovietico.

Parola – ostpolitik – che cambiò nuovamente di senso dopo il crollo dell’URSS: più che attrarre quelle nazioni verso i valori dello stato di diritto, all’Europa interessavano infatti le materie prime (a partire dal gas) e la manodopera a basso costo. Ritirarla fuori oggi, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, è quasi una bestemmia.

Qualunque fosse il significato di ostpolitik i rapporti tra Est e Ovest non hanno mai messo al centro i diritti umani. Le libertà individuali e collettive non hanno mai bilanciato il peso che avevano gli argomenti economici. Perché l’energia e la manodopera a costi bassi erano una manna dal cielo per il capitalismo europeo. E bastava.

Volete una prova? Per quel che valgono le classifiche, se guardate l’ultimo Democracy Index (la classifica ponderata elaborata dall’Economist) scoprirete che nel Putinstan nessuna nazione riesce a superare il livello “regimi autoritari”. Dal non classificato di Bielorussia e Uzbekistan al 2,2 (su 10) della Russia.

Non sembra funzionare l’attrazione da vicinanza: nei paesi passati dall’orbita sovietica a quella europea come la Polonia il punteggio del Democracy Index arriva a quota 7,2, l’Estonia raggiunge l’8, la Finlandia – che condivide con la Russia una frontiera di 1300 km – sfiora il massimo dei voti con il suo 9,3 su 10. Contemporaneamente sembra funzionare il meccanismo inverso: alcuni segnali convergenti sembrano dire che l’autoritarismo di Putin – per alcuni tratti comune a quello di Trump o Milei – fa proseliti anche al di qua dell’ex cortina di ferro.

Perché il primo numero di Rights Now del 2025 riguarda l’ostpolitik?

Perché tra la la piccola e frammentata Europa e la grande seppur sofferente Russia si giocherà una partita decisiva. Basta una rapida carrellata di notizie recenti che in qualche modo riguardano quello spazio geo-politico ibrido che va dall’Albania alla Russia. Spazio che, come un pendolo, è attratto a giorni alterni da Mosca o da Bruxelles.

Qualche esempio: la Moldova dal 1° gennaio è al freddo perché Gazprom ha chiuso il gasdotto. Motivo ufficiale? Un contenzioso commerciale, ma più probabilmente per fare pressioni su Chsinau per la Transnistria.

Dalla stessa data l’Ucraina ha bloccato il passaggio del gas russo verso l’Europa. La notizia in questo caso è che malgrado la sanguinosa guerra in corso scorresse ancora gas russo lungo i pipeline ucraini, due paesi in guerra che per motivi economici hanno continuato a fare affari…

E ancora: l’Albania ha annunciato la chiusura di Tik Tok perché incita alla violenza adolescenziale mentre in Romania sono state annullate le ultime elezioni perché il candidato filo-Putin Georgescu è accusato di aver influenzato gli elettori attraverso Tik Tok. In Georgia il partito pro-russo di Mikheil Kavelashvili si è insediato come nuovo presidente malgrado le numerose manifestazioni popolari che lo accusavano di autoritarismo. Infine Bulgaria e Romania dal 1° gennaio sono nell’area Schengen diventando, almeno simbolicamente, ancora più europei.

Siamo in presenza di piccole scosse premonitrici di un terremoto politico? Stanno crollando alleanze difficili ma fino a poco fa convenienti?

Oggi sono cambiati molti parametri: la guerra di Putin e il risentimento anti-russo, le spinte centrifughe in Europa, l’agonia della potenza manifatturiera della Germania, l’ascesa dell’estremismo di destra rendono ancor meno attraente il vecchio modello europeista. Ma anche l’autoritarismo espansivo di Mosca sembra aver perso fascino.

Occorre leggere quello che sta accadendo dai Balcani al Caucaso in modo meno semplicistico. Ci prova da quando lo conosco Federico Baccini con la sua newsletter Barbalcani e con le sue corrispondenze per BalcaniCaucaso: ecco le sue riflessioni per Rights Now.

Ascolta ora · 4:32

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* Direttore della Fondazione Diritti Umani

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