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Il caso dei quattro ragazzi “desaparecidos” e la spirale della violenza in Ecuador

Matteo Armelloni il . Corruzione, Criminalità, Giovani, Giustizia, Informazione, Internazionale, Politica, Società

Chi la notte del 24 dicembre 2024 si fosse trovato nella piazza centrale di Guayaquil, principale porto dell’Ecuador, avrebbe sicuramente provato una sensazione di straniamento. Nel vero senso della parola.

Avrebbe, infatti, avuto l’impressione di essere stato proiettato in altro luogo ed in altra epoca, ovvero nell’Argentina delle manifestazioni delle “madri di piazza di Maggio” durante la dittatura militare. La parola che veniva gridata, infatti, era “desaparecidos”. I manifestanti gridavano “ridateci i nostri desaparecidos, ridateci i nostri figli”.

A manifestare nella città capitale economica dell’Ecuador erano i famigliari di Josè e Ismael Arroyo, Saul Arboleda e Steven Medina, quattro bambini di età compresa tra gli 11 ed i 14 anni “desaparecidos” dall’8 dicembre.

L’ultima volta che sono stati visti, vivi, erano le 23,00 dell’8 dicembre. Un testimone oculare, difronte ad un magistrato, ha dichiarato fossero nei pressi della base dell’aeronautica militare di Taura, un “sobborgo” (parroquia rural), nudi, insanguinati, implorando aiuto.

Questa scena da film dell’orrore, all’apparenza incomprensibile ha, in realtà, il suo “punto di partenza” alle 20,00 dello stesso giorno, nella zona opposta della città, il quartiere Malvinas, una tra le realtà più povere e degradate del paese.

I quattro bimbi stanno giocando a pallone quando, all’improvviso, compare un camion dell’esercito con a bordo 16 militari i quali, a calci, obbligano i minori a salire sul mezzo.

Poi più nulla, nessuna traccia, fino al 24 dicembre quando, nei pressi della base militare, come riportato dal testimone, sono stati trovati quattro corpi bruciati e, dalle prime analisi, sicuramente due sono dei bambini spariti. Per gli altri due poveri resti sono in corso le indagini forensi.

Dal giorno della sparizione i parenti non si sono stancati di chiedere spiegazioni, ma, come sempre in passato, si è praticata la strategia del silenzio, del muro di gomma.

Tuttavia, strana coincidenza, hanno incominciato ad inondare la rete fotomontaggi dei ragazzini che imbracciano pistole e fucili per, ovviamente, insinuare l’idea che sia un problema tra delinquenti.

La prima uscita ufficiale, sotto la pressione dell’opinione pubblica, è il comunicato del  Comando Unificato dell’Esercito, del 20 dicembre ovvero passati 12 giorni, del suo capo (jefe) Jaime Vela, che ha inizialmente dichiarato che i militari non fossero coinvolti nella faccenda. Salvo poi essere smentito, tre giorni dopo, dalla pubblicazione di un video che, in modo inequivocabile, ha ripreso tutta la sequenza.

Da questo momento la strategia del silenzio è crollata e si sono sovrapposte prese di posizione tra loro completamente incompatibili.

Il Ministro della Difesa Gian Carlo Loffredo ha provato a rinforzare la teoria dei “delinquenti” affermando che erano stati arrestati per furto e poi rilasciati sani e salvi. Aggiungendo che, comunque, provengono da famiglie “equivoche” che lasciano dei minori scorrazzare liberamente la sera. A parte il, non molto, velato razzismo (il quartiere Malvinas da cui provengono è, come detto,  una zona di estrema povertà con una maggioranza di popolazione nera), c’è l’assurdità di un camion di militari che attraversa tutta la città da sud a nord, tempo di percorrenza più di un’ora, incrocia tre stazioni di polizia ma decide di non consegnare i sospetti alla polizia ma di “rilasciarli” in piena autostrada, alle 23,00. Ulteriore elemento: dov’è la denuncia del crimine?

Il Presidente della Repubblica, invece, schiacciato dall’indignazione ha incominciato a parlare di eroi della patria, ma si è rifiutato di incontrare i famigliari ed ha più volte espresso pieno appoggio alle forze armate.

Questo è un punto che dev’essere analizzato con attenzione.

Dal gennaio 2024, poco dopo essersi insediato come Presidente della Repubblica, Daniel Noboa, rampollo di una delle famiglie più ricche dell’America Latina, ha dichiarato guerra interna alla criminalità. Non dunque “solo” lo  stato d’emergenza, ma vera e propria guerra, con sospensione di tutte le libertà civili e politiche.

Se non vi è dubbio che il paese andino dal 2018 è hub del narcotraffico verso l’Europa, sono, infatti, da tempo radicate ndrine dell’ndrangheta (nel giugno del 2023 è stato ucciso il magistrato Leonardo Palacios che aveva strutturato un’inchiesta sul rapporto tra ndrangheta e politica in Ecuador) e se non c’è dubbio che la violenza ha collocato molte città ecuadoregne tra le più violente al mondo, è altrettanto incontestabile che la guerra al crimine non ha diminuito gli omicidi, ottobre e novembre sono stati i mesi più violenti dell’anno (dati ufficiali del Ministero) facendo, al contrario, aumentare la tensione nei quartieri popolari che oltre alla prepotenza dei narcos devono subire la presenza asfissiante dei militari.

Che quest’ultima tragedia dei quattro bimbi sia solo l’ultimo anello di una catena ben più lunga di abusi è evidenziato dalle costanti denunce dei gruppi per la difesa dei diritti umani.

Human Right Watch il 22 maggio 2024 ha scritto una lettera pubblica a Noboa denunciando puntuali e sistematiche esecuzioni extra giudiziali, rapimenti, torture. Lo stesso ha fatto il Comitato Permanente per la Difesa dei Diritti Umani  (CDH) indicando, inoltre, l’uso sistematico dell’incarcerazione illegale e la tortura nelle carceri.

Il Presidente, fino ad ora, ha risposto che i diritti umani non valgono per i delinquenti.

A quanto sembra nemmeno per gli oppositori politici. Ha fatto il giro del mondo, infatti, l’invasione, ad aprile 2024,  dell’Ambasciata del Messico a Quito, da parte delle squadre speciali ecuadoregne,  per rapire l’oppositore  e rifugiato politico Jorge Glass. Anche la Vice Presidenta Veronica Abad ha “provato” sulla sua pelle lo stile di governo del suo Presidente. Alla prima, velata, obiezione rispetto alla gestione delle forze armate ha visto il proprio figlio arrestato, arresto preventivo, e incarcerato alla Roca (carcere di massima sicurezza in cui vige quello che in Italia sarebbe il 41 bis) con l’accusa di “tentativo di corruzione”, per una cifra che non superava i 5000 dollari. Interpellato dai giornalisti Noboa ha risposto che effettivamente lui è un pessimo nemico (Yo soy un mal enemigo).

Questi citati sono solo due dei più eclatanti casi di una gestione autoritaria delle forze armate, si potrebbe dire, senza retorica, di un uso “classista” della militarizzazione dei quartieri poveri e marginalizzati. Non un solo caso di sparizione, non un solo caso di abuso militare è stato riportato nelle zone dell’aristocrazia economica di Guayaquil e Quito. Eppure, come noi sappiamo bene in Italia, non c’è mafia senza riciclaggio di denaro, ed è proprio in quest’ultimi quartieri che vivono e prosperano, quando non sono a Miami, banchieri, notai, avvocati dei principali studi legali del paese, alti esponenti della finanza ecc..

Questi quattro bimbi, neri, poveri, probabilmente, purtroppo, inceneriti possono, forse, rompere il muro di silenzio e di indifferenza nei confronti di un paese martoriato dall’ndrangheta, dalla violenza militare e dall’infinita avidità di una elitè che riconquistato il potere è disposta a tutto per non perderlo. Forse.

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