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Uno sguardo nuovo verso i minori stranieri non accompagnati

Pierluigi Ermini il . Costituzione, Diritti, Giovani, Lavoro, Migranti, Società

Il salvataggio della piccola Jacinta nel mare intorno a Lampedusa, aldilà di come realmente si sia consumato l’ennesimo naufragio, ci porta ancora una volta di fronte ai tanti minori stranieri non accompagnati, che raggiungono il nostro paese.

Salve The Children parla dell’arrivo in Italia negli ultimi 10 anni di circa 127.000 minori, un numero enorme che dovrebbe far riflettere tutti noi adulti. Attualmente in Italia ci sono circa 19.000 minori inseriti nelle strutture.

Chi conosce a fondo le dinamiche con cui questi giovani, a volte giovanissimi ragazzi, si muovono dalla loro terra per raggiungere l’Europa, parla di una decisione molto spesso assunta a livello familiare.

L’impossibilità di garantire una vita dignitosa ai propri figli, spinge i genitori ad “investire” tutto del loro futuro familiare su quelli, tra i loro ragazzi, in grado di affrontare un lungo viaggio, con la speranza, una volta arrivati in Europa,  di poter un domani aiutare a vivere tutta la famiglia.

Un investimento anche economico, perché molto spesso le famiglie si indebitano per far arrivare alla meta i loro figli, oppure sono questi ragazzi ad indebitarsi lungo il viaggio pur di attraversare il Mediterraneo, oppure in quello lunghissimo a piedi lungo la rotta Balcanica.

Di molti di loro, che riescono ad arrivare in Italia, si perdono le tracce, spesso perché il loro punto di approdo non è il nostro paese, ma altre nazioni dell’Europa.

Altre volte se perdono le loro tracce perché c’è chi si approfitta di loro anche qui da noi. La criminalità organizzata sa come “utilizzarli”  attraverso molte e diverse forme di sfruttamento che li rendono schiavi fin da loro arrivo.

Soprattutto la Sicilia è la regione dove più alto è il fenomeno di minori stranieri dei quali si perde il controllo.

Fortunatamente la maggior parte di questi ragazzi, spesso poco più che adolescenti, invece viene accolta in comunità di accoglienza inizia un percorso importante fino al conseguimento del diciottesimo anno di età (che in taluni casi può proseguire anche fino a 21 anni).

Dovrebbero imparare la nostra lingua, frequentare le nostre scuole, essere avviati a un lavoro, avere la possibilità di integrarsi, fare sport, avere l’occasione di costruirsi una loro vita, raggiungere un’autonomia.

La loro integrazione e inclusione nella nostra società è una forma di garanzia anche per la sicurezza delle nostre comunità. Un investimento che se gestito bene e con il contributo di tutti, può portare in futuro a un miglioramento della qualità della vita anche nostra.

Qui entriamo in gioco noi adulti e una volta tanto vorrei proporre a chi leggerà queste riflessioni, una chiave di lettura diversa.

Troppo spesso noi vediamo in questi ragazzi un peso per il nostro paese, anziché un’opportunità,  e non invece un’occasione per “una restituzione” per ciò che noi abbiamo tolto nel corso della storia degli ultimi secoli, con il nostro modo di agire (occupando le loro terre per lungo tempo) e di vivere (nel senso di aver usurpato le loro materie prime per i nostri interessi e il nostro sviluppo).

La venuta in Italia e in Europa di queste giovani persone, in chi sente e avverte un senso di responsabilità in questa sua vita e nella sua società e si sente parte di questo mondo, dovrebbe stimolare e portare ad agire proprio con questo senso di una legittima restituzione per quello che noi e le nostre famiglie hanno ricevuto in passato da popoli che vivono una situazione di povertà estrema anche per colpa di come viviamo noi..

Se fosse così dovremmo vivere l’arrivo di questi ragazzi in modo diverso, quasi come se le famiglie che si indebitano per farli partire ci chiedessero di vigilare su di loro al loro arrivo, aiutarli a ambientarsi, conoscere la nostra società,  la nostra lingua, avere un’opportunità per il loro futuro.

Come se chiedessero a noi adulti di occuparsi di loro, di continuare nella nostra esperienza di paternità e maternità curandosi di chi ha bisogno di una mano per non smarrirsi e poter con il tempo, oltre ad avere una vera opportunità di una vita dignitosa, anche contribuire al benessere della famiglia che hanno lasciato nella loro terra.

In un paese che invecchia, con così tanti pensionati/e ancora in forza e salute, avere dei ragazzi di cui occuparsi, è un bellissimo modo per pensare al futuro delle nostre comunità.

Dal 2017 esiste una legge, chiamata “Legge Zampa” che permette a chi è adulto di poter diventare tutore di un minorenne straniero non accompagnato, per affiancarlo nel suo percorso nel nostro paese, occupandosi di lui, del suo inserimento nelle strutture che li accolgono, nella scuola, nello sport, nelle amicizia, nei suoi bisogni di salute, nella sua ricerca di un lavoro, fino al raggiungimento della sua autonomia.

La piccola Jacinta, rimasta sola, se non sarà possibile ricongiungersi con i suoi familiari, sarà sicuramente affidata o adottata da qualche famiglia disponibile.

Ma restano i tanti minori che vivono nelle strutture che sono senza un tutore e se non aiutati e seguiti personalmente, possono perdere l’occasione che hanno sognato e iniziato con il viaggio che hanno affrontato, e non supereranno le tante esperienze negative che gli hanno molto spesso fatto vedere un mondo disumano.

Qualche settimana fa ho assistito a un momento bellissimo che dà un senso grande al ruolo del tutore.

Un ragazzo albanese arrivato in Italia circa 6 anni fa a 15 anni è stato affidato a una tutrice che lo ha seguito fino al compimento dei suoi 18 anni e con il quale è sempre rimasta in contatto.

Ne ha seguito gli studi (ha fatto un corso per cuoco), nei momenti difficili del suo inserimento, nei momenti di sbandamento aiutandolo a seguire una strada invece che lo portasse a dare concretezza ai suoi sogni.

Questo ragazzo oggi a 21 anni è da alcuni anni un cuoco in un ristorante, vive del suo stipendio, ha una casa in affitto e si è fatto raggiungere in Italia dal padre e dalla madre e presto con loro si ricongiungersi anche l’altro fratello.

Sua madre oggi lavora nel ristorante con lui e la padrona del ristorante parla di questo giovane uomo di colui che potrebbe un domani prendere in mano le redini della struttura.

Le due “madri” si sono incontrate in quel ristorante qualche settimana fa ed è stato bellissimo vedere la mamma naturale abbracciare e piangere con la mamma tutrice, felici per come questo ragazzo, anche grazie a lei è riuscito a dare vita ai suoi sogni.

E vedere anche la gioia di questo ragazzo durante questo incontro e questo abbraccio per il traguardo conseguito.

In quei momenti ho pensato veramente che le mamme, i babbi naturali di questi ragazzi/e sperano che sull’altra sponda del Mediterraneo i loro figli possano avere la fortuna di trovare ad aspettarli degli adulti che possono un pò pensare a questi giovani uomini e donne che versano di dare un senso alla loro vita.

È come se quasi ce li affidassero e ci dicessero: tu che puoi, che hai tempo, possibilità, dagli una mano, accoglili e fai in modo che il loro sogno possa realizzarsi.

Un piccolo e concreto modo per sentirsi parte di una famiglia più grande di quella nostra naturale, la famiglia umana; di “restituire” un pò di quello che nel corso della storia abbiamo avuto anche grazie alla vita meno dignitosa di tanti paesi più poveri; di mettersi in gioco diventando un punto di riferimento per chi arriva sperando in futuro migliore.

In fondo un modo per sentirsi ancora un pò papà e mamma, sentirsi vivi, utili, innamorati e costruttori di un mondo più umano…

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