Scarpinato, i buchi neri e l’Antimafia
In una istruttoria infuocata, innescata dall’avvocato Trizzino, legale di una parte della famiglia Borsellino, Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, ha scelto di concentrarsi esclusivamente sulla strage di via d’Amelio e sulla accelerazione che si ritiene sia stata impressa alla sua esecuzione per un supporto interessamento di Borsellino all’inchiesta mafia – appalti.
Dissentendo da tale impostazione, il senatore Roberto Scarpinato, componente della Commissione, il 4 settembre 2023 ha consegnato al presidente Colosimo un’articolata memoria di 57 pagine. In essa si disegna un intreccio tra stragismo mafioso, eversione di estrema destra e interventi dei servizi deviati. Intreccio che sconsiglia di sganciare la strage di via D’Amelio dal contesto che ne deriva, al quale pure andrebbero ricondotte le stragi di Capaci e quelle del 1993. Altrimenti si rischierebbe di costruire a tavolino una motivazione di via D’Amelio tutta legata agli affari, mentre allargando il quadro si può comprendere come si puntasse molto più in là.
La memoria di Scarpinato è stata pubblicata dal movimento “Agende rosse” di Salvatore Borsellino. Leggendola confesso di essere rimasto sgomento. Perché mettendo insieme, uno dietro l’altro, i tanti (troppi) buchi neri e/o misteri che la costellano, si ottiene un quadro finale estremamente torbido e cupo.
Inimmaginabile anche da chi – come nel mio caso – si è trovato dentro questo o quell’episodio per un dovere professionale di indagine. Proprio quello sgomento mi porta a considerare con favore l’opinione di Scarpinato secondo cui occorre osservare dall’alto tutti i tasselli importanti, studiandone i punti di convergenza nel quadro complessivo. Senza parcellizzazioni e concentrazione esclusiva su un singolo tema, come preferisce fare la presidente Colosimo.
Tale e tanta è questa esclusiva concentrazione che alla memoria di Scarpinato – dopo più di un anno – sostanzialmente non si è ancora dato riscontro. Credo invece che convenga esaminarla. Non come alternativa alla strada già intrapresa dalla Commissione, ma come pista di pari dignità.
C’è un nodo però che in ogni caso andrebbe sciolto preliminarmente, un nodo che dà il titolo (Un pessimo affare) a un pregevole libro di Giovanni Bianconi. Posso testimoniare che i mafiosi diventati collaboratori di giustizia erano concordi nel dire che Riina si sarebbe «giocato i denti», nel senso della cosa più cara, pur di eliminare le leggi sui pentiti e sul 41 bis.
Invece accelerare via D’Amelio è stato come rivitalizzare un 41 bis che stava morendo, essendo ormai praticamente esaurito il tempo per la conversione in legge del decreto approvato subito dopo la strage di Capaci. Per Riina un vero disastro, un suicidio. Come spiegarlo?
Se gli uomini d’onore si considerano gli unici individui degni di essere riconosciuti come persone, figuriamoci Riina. Capo dei capi; responsabile della guerra di mafia che ha causato migliaia fra morti e «scappati» per affermare il suo dominio; ideatore di una decapitazione sistematica e feroce di tutti i vertici istituzionali, mai avutasi in nessun paese al mondo; latitante per anni e anni quindi forte di complicità ad ogni livello: Riina doveva sentirsi un semidio.
E giocando su questa esaltazione, un “consigliori”, anche esterno all’organizzazione, poteva convincerlo che a lui sarebbe sempre riuscito tutto bene, pur rinunziando con un’apparente karakiri al suo conclamato impegno contro il 41 bis.
È comunque logico concludere che nella testa di Riina, vuoi perché qualcuno glielo aveva instillato, vuoi perché lo aveva lui stesso elaborato, si era fissato un obiettivo non rinunziabile, in grado di compensare i rischi che correva resuscitando l’odiatissimo 41 bis ormai moribondo. Ma in cambio di che?
È questo – ripeto – il punto decisivo da scoprire, se non si vuol girare a vuoto. E francamente la risposta incentrata esclusivamente sugli interessi economici legati agli appalti mi sembra debole. Anche perché è documentalmente provato che nel 1993, dopo la morte di Borsellino, l’attività della procura di Palermo in materia di appalti è stata intensa e con positivi risultati.
Chiudo con le parole di Falcone che Bianconi ha usato come esergo del suo libro: «Non pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa nostra – per un’evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi».
Parole cui la memoria di Scarpinato si adatta meglio di certe “verità” propinate nelle audizioni della Commissione antimafia.
Fonte: La Stampa
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