‘Ndrangheta nel bresciano: un segnale di allarme
L’emissione di misure cautelari da parte del GIP del Tribunale di Brescia a carico di una trentina di persone con l’accusa complessivamente di 54 delitti tra cui estorsioni, traffico di armi e droga, rapine, usure, riciclaggio, reati fiscali, e ove 7 di loro sono accusate di appartenere all’associazione a delinquere di stampo mafioso “’Ndrangheta” nei Comuni di Flero e di Castel Mella, è un evidente segnale di allarme che va colto.
In premessa va sempre ricordato che si tratta di un procedimento ancora in fase di indagini che ora potrà vedere il contraddittorio da parte della difesa e poi il vaglio di un giudice. Tutte le persone attualmente soggette alle indagini godono quindi della presunzione di innocenza e possiamo avanzare solo considerazioni generali.
In primis si ha la conferma della capacità diffusiva ed espansiva della ‘ndrangheta che ormai vanta una presenza consolidata anche nel Nord Italia, pure in zone precedentemente immuni. Del resto la criminalità organizzata ha ormai differenziato le sue attività che vanno dal traffico di stupefacenti alla corruzione, dalle estorsioni al riciclaggio, dall’evasione fiscale su larga scala all’usura. E la sua espansione in zone ricche, dove queste attività illegali potevano risultare maggiormente redditizie, era ampiamente prevedibile.
Si tratta di una mafia diversa da quella tradizionale “con la coppola” cui spesso siamo ancora legati nell’immagine, basata su atti di violenza e reati di sangue. Abbiamo oggi una mafia in doppio petto che non deve ricorrere, se non in casi estremi, a omicidi e coartazioni fisiche, capace di giostrare tra attività illegali ed altre apparentemente legali, anche al fine di reimpiegare capitali illeciti, e che vanta una formidabile capacità di intimidazione. È emblematico che dall’ordinanza del G.I.P. risulti che per ottenere i propri fini criminali vengano ad essere sufficienti frasi intimidatorie e comportamenti tali da coartare la volontà degli interlocutori, senza dover ricorrere a violenze fisiche.
Una mafia quindi ben organizzata e molto più insidiosa, perché apparentemente rispettabile e più difficilmente riconoscibile. Lo spaccato che ci viene offerto è davvero inquietante perché evidenzia la capacità di inserimento e di contaminazione anche in attività apparentemente legali e la pervasività anche in ambienti economici e politici.
Inquinamento che è devastante per l’economia, alterando la libera concorrenza a vantaggio di chi beneficia di ampi capitali in denaro contante che derivano dalle attività illecite. Ed è devastante per la politica perché con lo scambio politico elettorale rischia di mettere comunità locali in mano a potentati criminali.
La prospettiva non potrà mai essere quella di convivere con la mafia, ancora di più in territori come i nostri dove la sua presenza è relativamente recente, ma quella di eradicare queste realtà criminali. Questo significa sviluppare un intervento repressivo che deve colpire anche i patrimoni di queste organizzazioni criminali che temono l’impoverimento quasi ancor più del carcere. E nel presente procedimento è significativo che, parallelamente alle misure cautelari personali emesse, sia stato notificato un decreto di sequestro preventivo per oltre 1,8 milioni di euro.
Il segnale di allarme va colto nella sua gravità dalla nostra comunità, perché il contrasto alle mafie non è problema che riguarda solo la polizia giudiziaria e la magistratura ma l’intera collettività.
E deve favorire un ripensamento per chi, anche a livello parlamentare, pensa di poter indebolire strumenti di indagine quali le intercettazioni telefoniche e ambientali che, anche in questo procedimento, hanno dimostrato di essere estremamente preziose.
* Ex Presidente della Corte d’Appello di Brescia
Fonte: Giornale di Brescia
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