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Per una vera autoriforma della magistratura

Magistratura democratica il . Brevi, Costituzione, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica

La modifica al Testo unico sulla dirigenza giudiziaria.

È in corso davanti al Plenum del Csm la discussione sulle modifiche da apportare al Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria. 

Il tema della dirigenza giudiziaria, negli anni, ha modificato profondamente la fisionomia del governo autonomo della magistratura e, purtroppo non di rado, la stessa percezione che alcuni magistrati hanno del loro ruolo.

Gli scandali crudamente disvelati dalle indagini della Procura della Repubblica di Perugia (la c.d. vicenda dell’Hotel Champagne) hanno restituito l’immagine di un governo autonomo della magistratura (e purtroppo di non pochi magistrati) che si muove secondo logiche di potere e di carrierismo. È un sistema che deve essere superato. In questi giorni il Csm è chiamato ad offrire la prima risposta a questa patologia. È in questo spirito che diamo diffusione dell’intervento svolto dalla Consigliera Domenica Miele.

Un intervento che ben riassume le ragioni per cui il Csm non può limitarsi ad una semplice “cosmesi lessicale” delle circolari; è viceversa indispensabile un radicale cambio di impostazione, che consenta di rendere le decisioni del Csm più leggibili, più trasparenti, più stabili. È la via maestra per sottrarre la magistratura alla fascinazione del carrierismo e il governo autonomo alla tentazione del potere. Il rafforzamento della portata prescrittiva dei criteri di selezione è in questo senso un passaggio indispensabile.

Quella in discussione è la prima possibilità che il governo autonomo ha per offrire una risposta concreta alle patologie che l’indagine di Perugia ha rivelato: speriamo che il Csm sappia cogliere questa occasione con una decisione all’altezza delle esigenze del momento storico.

Intervento di Domenica Miele

Approdano finalmente in plenum le due proposte di revisione del TU sulla dirigenza giudiziaria, volte all’adeguamento della normazione secondaria a quella primaria, e segnatamente alle importanti modifiche introdotte dalla riforma Cartabia.

Dopo quasi due anni di esperienza in questo Consiglio, ho -abbiamo- toccato con mano come sia effettivamente possibile, con la attuale normazione secondaria, poter sostenere tutto ed il contrario di tutto, ritenere prevalente oggi un parametro che domani sarà considerato subvalente, fino ad arrivare a veri e proprie torsioni della normazione secondaria per confezionare, e quasi “cucire il vestito addosso” al candidato che si era scelto di proporre.

Torsioni che, in un recente passato, certamente hanno avuto il loro acme con la vicenda Palamara. Che hanno trovato spazio nelle larghe maglie dell’attuale Testo Unico, finendo per gettare un’ombra di opacità anche sulle decisioni più lineari (con l’effetto paradosso di ingenerosi sospetti anche su nomine unanimi).

Ho sentito, e sento fortemente, la necessità del recupero del modello di magistrato disegnato dal legislatore costituente, un modello di magistratura orizzontale, all’interno della quale i magistrati si distinguono solo per funzioni. Non certo per grado. Modello di magistratura orizzontale che a mio parere va gelosamente custodito, ridimensionando, per tal verso, anche l’enfasi eccessiva che c’è sulla questione “nomine”:  i fari dell’opinione pubblica sull’attività consiliare sono tutti puntati sulle nomine dei direttivi, quasi che questa sia l’unica attività del consiglio, o comunque quella preponderante, facendo passare così in secondo piano snodi fondamentali dell’attività consiliare, snodi necessari ed essenziali affinché sia preservata l’autonomia e indipendenza della magistratura, tutela della autonomia e dell’indipendenza della magistratura che è il compito principale che il legislatore costituente attribuisce al CSM.

In questi ultimi vent’anni abbiamo assistito ad un mutamento profondo della Magistratura, soprattutto in ragione della riforma del 2006, che ha spinto al carrierismo più esasperato. La riforma del 2006 (nata con le migliori intenzioni, volte alla ricerca del dirigente più capace e più efficiente per un determinato ufficio -abbandonando così in via definitiva il criterio dell’anzianità senza demerito) non ha dato i frutti sperati: si è insinuata, lentamente, ma saldamente, nella cultura del magistrato l’idea che sia assolutamente necessario ricoprire un incarico semidirettivo prima e direttivo poi, e forse anche più di uno, nell’arco della propria carriera, dando così il via alla ricerca affannosa e smasmodica delle “medagliette”, che con l’attuale testo unico attuale potevano essere valorizzate a piacimento non essendo categorizzate.

L’obbiettivo che si pone la presente proposta, che Michele illustrerà negli aspetti più tecnici, è quello di rendere più leggibili e prevedibili le decisioni consiliari in tema di nomine, ma anche quella di riequilibrare e ristabilire, come dire, di ridare “il giusto peso”, all’interno del consiglio, alle attività consiliari stesse, e segnatamente a quella della quinta commissione. Ridimensionando per tal verso l’enfasi, a mio parere davvero eccessivi, che sulle nomine attualmente vi è.

Prima di lasciare la parola a Michele, aggiungo brevissime considerazioni: questa proposta che prevede i “punteggi” quale sistema di pesatura di ciascuno dei parametri indicati dalla Cartabia e dai decreti attuativi, -pesatura che a volte può essere fissa a volte variabili, ma sempre con dei range molto limitati- non sopprime la discrezionalità del Consiglio (come da più voci si è voluto far intendere), ma anzi, al contrario, a mio parere la valorizza ancora di più. Perché qui, operando scelte a monte, con l’individuazione dei criteri ai quali dare più o meno peso, abbandonando il criterio della scelta a valle, calibrata spesso sul singolo aspirante (come purtroppo oggi accade di sovente consentendolo il testo unico attuale), ci si assume la responsabilità ALTA di operare scelte valoriali di fondo, di sistema. Certo, non è la panacea di tutti i mali, né ha la pretesa di essere tale.

È un tentativo di dare corpo e forma ai valori nei quali crediamo, e per l’attuazione e tutela dei quali sono, e siamo, in Consiglio; è un tentativo per rendere chiare, leggibili, prevedibili e soprattutto coerenti le decisioni consiliari. Non nascondo che, nel mio contributo a questa bozza, ha inciso anche l’esperienza di un anno e mezzo circa in terza commissione, dove il sistema dei punteggi, sia per i tramutamenti di primo che di secondo grado, che per quelli per i posti di legittimità vige da tempo, con margini ristrettissimi di discrezionalità a valle attribuibili solo con riferimento al concreto esercizio dell’attività giurisdizionale (ed è questa l’opzione culturale, la scelta di fondo che lì è stata fatta), griglie che non solo hanno dato un buon risultato nel corso degli anni, ma hanno garantito trasparenza e leggibilità all’esterno delle decisioni del consiglio. Esigenza di chiarezza e leggibilità all’esterno delle decisioni consiliari che, come ho detto, non significa abdicare alla discrezionalità consiliare, ma portarla su un piano ALTO, anticipando il momento decisionale della scelta a monte quindi sul criterio, sul parametro da valorizzare, e non a valle, calibrato sul singolo candidato. Discrezionalità consiliare che va gelosamente salvaguardata, ma che deve ritornare ad essere, appunto, discrezionalità, scelta sui valori, e non sulle persone.

Lascio, dunque, la parola a Michele Forziati, al quale va il mio più sentito e sincero ringraziamento per il corposo lavoro di stesura materiale della proposta, e per aver saputo tradurre in forma chiara e normativamente corretta i principi che vi ho illustrato, principi e valori condivisi con larga parte dei consiglieri che, tuttavia, oggi sostengono l’altra proposta, consiglieri che hanno contribuito in maniera fattiva ed essenziale all’elaborazione della presente delibera e dei quali abbiamo raccolto i preziosi contributi muovendoci nell’ottica di un costante confronto senza mai arroccarci su posizioni preconcette o precostituite.

Magistratura democratica

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