Le parole giuste e la nascita della Fondazione Giulia Cecchettin
Nella Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, pubblichiamo integralmente il discorso di Gino Cecchettin di presentazione della Fondazione intitolata alla figlia Giulia, uccisa da Filippo Turetta.
Una voce importante che ci ricorda come sia possibile trasformare “il dolore in significato, la perdita in impegno e l’oscurità in azione”. I giornalisti e le giornaliste dal canto loro, nel raccontare, le violenze sulle donne hanno il dovere di trovare le parole giuste, quelle che non provocano nuovi dolori, quelle che raccontano la verità. Questo è il nostro compito per una buona e corretta informazione.
“Signore e Signori, illustri ospiti,
oggi siamo qui per dare forma concreta ad un sogno: un sogno che ha un valore immenso perché è nato da una tragedia immane. Perché è così che spesso funziona la vita: ci prende per mano e ci porta a compiere i passi più luminosi, a scorgere una strada quando tutto sembra perduto. A volte – e non è retorica – quando si affrontano sofferenze tali, che potrebbero togliere qualsiasi speranza o prospettiva, la vita ancora ti sorprende offrendo uno scopo nuovo, un’opportunità di trasformare il dolore in significato, la perdita in impegno, l’oscurità in azione.
Oggi sono qui per parlarvi proprio di questo: di uno scopo che ha trovato radici nel ricordo di Giulia e che oggi prende forma nella Fondazione Giulia Cecchettin.
La Fondazione Giulia Cecchettin oltre ad essere un omaggio a Giulia alla quale si ispira, è anche un impegno che richiede il coinvolgimento di ciascuna e ciascuno di noi, un richiamo collettivo che ci invita a guardare oltre noi stessi, proiettandoci verso il benessere della società e il futuro delle nuove generazioni.
Viviamo in un’epoca contraddistinta dalla fretta e dalla superficialità: tutto scorre e si consuma troppo in fretta. Non è mai accaduto, nella storia dell’umanità, che ci si trovasse ad essere così “connessi”, sempre e ovunque; eppure, paradossalmente, avvertiamo di essere tra noi distanti, chiusi in noi stessi, e sempre più “scollegati” da ciò che conta davvero.
La velocità con cui consumiamo le nostre relazioni, le scelte, i progetti, ci allontana da ciò che davvero conta. Non basta essere veloci, non basta agire d’impulso. Serve una visione, serve perseveranza. Con pazienza dobbiamo costruire progetti concreti capaci di trasformare nel tempo una cultura spesso intrisa di indifferenza e superficialità. Con determinazione possiamo combattere l’uso di linguaggi e comportamenti che mancano di rispetto, perché la violenza spesso inizia dalle parole, prima di arrivare ai gesti.
Ogni persona ha diritto al rispetto della propria dignità, del proprio corpo e della propria interiorità. Nessuno deve essere costretto a vivere una vita che non ha scelto. È nostro dovere proporre modelli di relazione basati sulla stima reciproca, sull’ascolto e sul rispetto.
Ho attraversato la morte nella sua essenza più profonda prima con la perdita di mia moglie Monica e poi con quella di Giulia che mi ha spaccato il cuore.
La morte: ho provato paura quando l’ho sentita avvicinarsi; dolore quando l’ho incontrata; incredulità di fronte a una sorte che appare ingiusta.
La morte: ti dà coscienza della fine, e ti fa comprendere che la vita è un soffio; appena una brezza leggera, che non può essere sprecata perché non c’è nessun tempo di recupero.
E ho imparato a mie spese il valore del tempo. Ne abbiamo così poco e lo usiamo per litigi sterili, per battaglie di potere, per un’eterna rincorsa a ciò che ci distoglie da noi stessi.
Mentre siamo qui, migliaia di donne in tutto il mondo stanno vivendo nella paura, subendo abusi e violenze. Donne che avrebbero dovuto essere amate, ma che vengono colpite, ridotte al silenzio, rese prigioniere della paura e dell’angoscia. Dal giorno in cui è mancata la mia Giulia sono state uccise altre 120 donne soltanto in Italia. Migliaia e migliaia nel mondo. Numeri inimmaginabili!
Non possiamo più permetterci di rimanere indifferenti. Non c’è più tempo per voltare lo sguardo altrove.
In questo ultimo anno ho ricevuto messaggi strazianti di donne intrappolate nella paura.
Rosa mi scrive: “Ho paura di tornare a casa, so cosa mi aspetta.” Anna mi confida: “Lui si apposta davanti casa, osserva me e le mie figlie. Suona il campanello di continuo. Siamo prigioniere.”
E Vanessa: “Ho denunciato tre mesi fa, ma sono ancora in casa con lui. Se prima era difficile, ora è diventato un inferno. Sono sola… sarò la prossima?” Di fronte a queste realtà, come possiamo restare impassibili? Se siamo qui oggi, voglio credere che sia perché ognuno di noi desidera cambiare qualcosa. Perché non possiamo più tollerare che il silenzio sia l’unica risposta a chi ha bisogno di aiuto.
Ognuno di noi ha la capacità di mettere amore o odio nel mondo, positività o negatività. La differenza tra una società che cresce e una che si disintegra dipende spesso dalle piccole eppure grandissime scelte quotidiane.
La Fondazione Giulia Cecchettin è qui per questo. Per dare voce e sostegno a chi non può più urlare, a chi vive nella paura. Il nostro impegno non è un’idea astratta: è una semina fiduciosa che ha già portato molti frutti come nella vita di Laura, che grazie alle nostro impegno ha trovato la forza di cambiare la sua vita, di liberarsi da una relazione tossica. A volte possono bastare delle parole, una presenza, un segno di speranza.
In questi mesi mi sono reso conto di quanto concentrarsi su sentimenti positivi porti ad agire in modo costruttivo. Io l’ho fatto per la necessità di non farmi travolgere dall’odio che mi avrebbe annichilito come persona. Mi sono fatto aiutare da gesti molto semplici, come il continuo tornare a guardare la foto della mia Giulia: piccoli gesti come questo mi hanno educato a guardare verso la luce anche in situazioni dove sembra che tutto sia oscuro; mi hanno aiutato a rimanere vicino all’amore anche dentro lo strazio del mio dolore; mi hanno insegnato che rancore e risentimento non mi aiutano e sono un fardello troppo pesante da portare: l’amore per la mia Giulia è il solo rimedio possibile al dolore.
Questo tenace esercizio a voler rimanere vicino all’amore mi ha fatto scoprire un modo nuovo di vivere, più rivolto a dare senso e valore e capire come contribuire a migliorare il mondo in cui vivo.
Penso di avere raggiunto piena consapevolezza di questo stato d’animo proprio durante l’udienza con Filippo. Provavo un dolore straziante per quello che Giulia aveva subito, ma non riuscivo a provare il benché minimo sentimento di rabbia, sdegno, risentimento o ira verso il carnefice di mia figlia.
Tuttavia, in alcune persone che erano attorno a me percepivo animosità e risentimento. Comprendo bene la loro indignazione, ma la sera dell’udienza, tornando nel silenzio della mia casa, ho avuto modo di riflettere e immaginare il nostro mondo come un ecosistema dove ogni individuo ha la capacità e il libero arbitrio di iniettare nella società odio o amore.
Non possiamo cambiare gli eventi che ci sono capitati, ma possiamo cambiare la nostra reazione a quegli eventi e decidere se contribuire ad aumentare l’odio oppure l’amore a discapito oppure a favore dell’ecosistema stesso.
Per quanto mi riguarda, nel nome di Giulia io posso solo scegliere di far crescere l’amore, perché questa è l’unica scelta che le assomiglia, l’unica possibile se voglio mantenere viva una parte di lei.
Ecco noi dovremmo in ogni momento della nostra vita cercare di produrre empatia, calore, apprezzamento, armonia e amore. Solo così riusciremo a diminuire l’entropia negativa del nostro ambiente.
Oggi, vi invito a dare valore a ciò che conta davvero, a quei sentimenti che ci consentono di rimanere umani, capaci di aiutare invece di distruggere. La ricerca continua del potere, dello status, ha un costo troppo alto: ci consuma, ci ruba tempo, ci priva della pienezza della vita.
Essere qui significa abbracciare la volontà di cambiare. Significa che non possiamo più voltare le spalle a chi ha bisogno di noi. Dobbiamo essere noi, con le nostre azioni, a costruire un futuro dove la violenza non abbia più spazio.
La Fondazione Giulia Cecchettin ha il compito ambizioso di educare per produrre un cambiamento che possa radicarsi e attingere in profondità, per poi poter crescere forte e portare molto frutto.
Empatia, rispetto, armonia e amore non sono solo sentimenti individuali: sono le fondamenta di una società giusta e solidale. La violenza di genere non è una questione privata o isolata; è un fallimento collettivo, il risultato di una cultura che troppo spesso tollera l’indifferenza e il silenzio.
Ognuno di noi ha un ruolo da giocare. Non possiamo delegare ad altri la responsabilità di creare un cambiamento; dobbiamo essere protagonisti, in prima persona, di una trasformazione culturale e sociale che metta al centro la dignità e il rispetto per ogni individuo.
Questo è un compito che richiede impegno, coraggio e azione condivisa. Non si tratta solo di quello che la Fondazione farà, ma di quello che tutti noi, come comunità, possiamo fare. Dobbiamo educare le nuove generazioni al rispetto reciproco, promuovere relazioni basate sulla parità e sull’ascolto, e combattere con fermezza ogni forma di discriminazione e violenza.
Ognuno di noi è chiamato a contribuire, ognuno di noi può fare la differenza. È una responsabilità che non possiamo ignorare. È il tempo di unire le forze, di costruire ponti invece di erigere muri, di guardare al futuro con speranza e determinazione. Non sarà un percorso semplice. Ma ogni passo, ogni gesto, ogni progetto che realizziamo insieme può essere un mattone per costruire un mondo in cui nessuno debba più vivere nella paura, e in cui il rispetto e l’amore siano le regole fondamentali della convivenza.
Vi chiedo di unirvi a noi, non come spettatori, ma come attori di questo cambiamento. Perché solo attraverso il nostro impegno collettivo possiamo rendere onore alla memoria di Giulia e offrire un futuro migliore alle generazioni che verranno.
Insieme, possiamo trasformare la tragedia in speranza, l’indifferenza in azione e la paura in un nuovo inizio. Grazie.
Gino Cecchettin
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