Donne in fuga dalla mafia, l’audizione di don Luigi Ciotti in Commissione Antimafia
Il fondatore di Libera: “’Serve il cambiamento anagrafico immediato. Parliamo di mafia da 170 anni, le leggi vanno rinforzate, non demolite”.
“Non cercano soldi, ma dignità e libertà. Vogliono poter avere un lavoro e mandare i propri bambini a scuola senza il timore di essere rintracciati”. Sono le parole pronunciate da don Luigi Ciotti in Commissione Antimafia, parlando delle donne che hanno scelto con coraggio di sottrarsi al giogo della criminalità organizzata.
Un intervento intenso su un argomento drammaticamente attuale: il sostegno e la protezione alle donne e ai loro figli che decidono di recidere i legami con gli ambienti criminali, trovando il coraggio di affrontare paure e difficoltà per la voglia di rinascere e cambiare vita.
Donne coraggiose, il cui desiderio più grande è quello di condurre una vita normale, lavorare onestamente e garantire un futuro ai propri figli. “Ci sono donne che abbiamo spostato quattro, cinque volte”, ha spiegato il fondatore di Libera, ricostruendo anche le difficoltà affrontate per inserire i loro figli nelle scuole. Ciò è spesso reso possibile grazie alla collaborazione di dirigenti scolastici, che accettano di impegnarsi a non divulgare informazioni sensibili che potrebbero compromettere la loro sicurezza. Tuttavia, il problema si acuisce con l’età universitaria, quando diventa inevitabile comunicare il proprio nome e cognome.
La quotidianità tra paura e precarietà
Durante il suo intervento in Commissione Antimafia, don Ciotti ha ricordato un episodio in cui una madre è stata costretta a fuggire dalla località in cui viveva insieme ai suoi figli. “Abbiamo trovato una casa in una località di mare e una scuola, dove la dirigente scolastica si è impegnata a non parlare con nessuno per tutelare la sicurezza della donna e dei suoi figli. Alle spalle di questa donna, di grande coraggio e in fuga da un’organizzazione criminale, c’è una situazione estremamente complessa. Un giorno – ha raccontato – la sveglia non ha suonato: un evento quasi provvidenziale, perché poco dopo è arrivata la telefonata della dirigente scolastica. Ha avvertito la madre dei bambini di non portarli a scuola perché ‘ci sono degli uomini, non sappiamo da dove siano entrati, che stanno aprendo le porte di tutte le aule per guardare i bambini in faccia’. Ci siamo attivati immediatamente per trasferire la donna e i suoi figli in un’altra località sicura, ricominciando tutto da capo. Ma gli esempi sono tanti – ha proseguito don Ciotti – di situazioni in cui c’è un estremo bisogno di aiuto e protezione, dove si trovano persone oneste, con voglia di cambiamento e positività. Persone che provengono da contesti difficili, ma che non si sono macchiate di reati. Chiedono solo sicurezza e la possibilità di guadagnarsi da vivere in maniera onesta”. Questo episodio rappresenta solo uno dei tanti esempi di come la vita di queste donne sia un continuo tentativo di sfuggire a un passato che sembra non lasciarle mai libere.
La soluzione
Punto cruciale dell’intervento del fondatore di Libera riguarda la necessità di un cambiamento anagrafico. “Basterebbe il cambiamento anagrafico – ha spiegato – affinché si possa iscrivere a scuola i bambini senza i soliti rischi”. Una misura semplice ma concreta per garantire sicurezza e normalità alle famiglie che intendono rompere i propri legami con il loro passato criminale. Oltretutto, il cambiamento anagrafico “ha una doppia valenza: una simbolica e una concreta”.
Cambiare nome, infatti, significa innanzitutto rompere simbolicamente con il passato, ma anche sfuggire in maniera concreta ai tentacoli dei clan che continuano in maniera ostinata nei loro tentativi di rintracciare chi li ha abbandonati, con conseguenze terribili. “Voi capite bene che questa è una cosa urgente. C’è un gruppo di donne con bambini che sono ancora in attesa. Nell’arco di questi anni – ha ribadito – sono stati fatti anche dei protocolli, alcuni di questi sono stati firmati dai vari ministri competenti, peccato che alla fine non si è mai mosso nulla”.
Il caso Lea Garofalo
Cresciuta in una famiglia di ‘Ndrangheta, Lea Garofalo decide di collaborare con la giustizia nel 2002, fornendo informazioni cruciali sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno, Carlo Cosco. Purtroppo, nel 2009, la giovane donna viene attirata a Milano con il pretesto di discutere del futuro di sua figlia Denise, ma Lea viene rapita e uccisa. Il suo corpo venne dato alle fiamme e lasciato bruciare per giorni.
“Ricordo il suo funerale – ha raccontato don Ciotti – la sua bara era leggerissima perché del suo corpo non era rimasto quasi niente”. E aggiunge: “Ricordo quando l’ho vista per la prima volta a Firenze, durante un incontro pubblico. Ricordo questa donna carica di tensione che mi ferma per chiedermi: ‘Per piacere, mi può consigliare un avvocato?’ Mi chiedeva il nome di un buon legale perché era delusa per le mortificazioni che aveva subito all’interno di certi meccanismi. Le ho consigliato l’avvocato giusto per lei. L’abbiamo aiutata, poi l’abbiamo supplicata affinché non andasse da suo marito. Lei diceva: “No, se vado con mia figlia, sono sicura che non mi tocca”. Purtroppo, “ha fatto una scelta sbagliata e sapete bene in che modo è finita”. – prosegue – “Solo dopo il funerale di Lea Garofalo abbiamo scoperto che molte altre donne come lei erano venute alla cerimonia funebre; e questo perché, grazie a lei, avevano scoperto che c’era qualcuno disposto a dare loro una mano”.
La piaga della droga e l’evoluzione delle mafie
Don Ciotti ha poi affrontato anche la delicata questione della trasformazione che la criminalità organizzata ha subito nel corso degli anni. Una trasformazione che ha segnato il passo a un crescente consumo di droga, accrescendo in maniera esponenziale il volume di affari delle mafie. “Oggi c’è molta più droga rispetto a diversi anni fa”, ha spiegato il fondatore di Libera evidenziando come le droghe sintetiche, “ormai più di mille”, abbiano amplificato il problema delle dipendenze. “Oggi si è passati dal crimine organizzato mafioso al crimine normalizzato. È diventato una delle tante cose – ha precisato – così come la droga, il gioco d’azzardo, le ecomafie e le agromafie. Sapete bene – ha proseguito – che la mafia di oggi non è quella di ieri. La storia ci ha insegnato che l’ultima mafia è sempre la penultima. Perché nel codice genetico dei mafiosi c’è un imperativo: rigenerarsi. Oggi le mafie sono forti. Fanno meno chiasso e sparano meno, e per questo, nella percezione della gente, la mafia è diventata molto semplicemente una delle tante cose. Ma è bene ricordare che il male deve essere estirpato alla radice”.
Il pericolo del “legalismo”
Forse uno degli aspetti più interessanti è ciò che don Ciotti ha definito il “legalismo”. “Devo essere sincero – ha spiegato in maniera provocatoria – meno si parla di legalità e più sono contento. Questo perché la legalità è diventata la bandiera che usano tutti. In passato, un’altra Commissione Antimafia, prima di questa, ha dimostrato che a fare associazione antimafia in Italia erano soprattutto i mafiosi, che, appunto, istituivano associazioni in nome della legalità. Il legalismo è diventato la bandiera che tutti usano. Ma, ben venga, all’interno di un progetto più ampio. La legalità, infatti, è un mezzo, uno strumento per raggiungere un obiettivo che si chiama giustizia”.
Poi aggiunge: “Sono 170 anni che parliamo di mafia. Abbiamo delle leggi di grande valore, che non devono essere demolite in alcuna parte. Semmai – ha proseguito – devono essere rinforzate, come il lavoro dei magistrati o quello degli organi di polizia. Bisogna responsabilizzare anche i cittadini, che non devono delegare. È comodo dire: ‘Occupatene voi’.”
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