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Separare Elon dai giudici

Gian Carlo Caselli il . Costituzione, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica

Dall’alto dei suoi trilioni e trilioni di dollari, Elon Musk (ormai inglobato nel governo Trump come addetto all’efficienza) ha vaticinato  che “quei giudici devono andarsene”.

E si riferiva non ai giudici di qualche sperduta contea nord americana, ma ai giudici del Tribunale di Roma che hanno osato sospendere – applicando la normativa vigente – la convalida del trattenimento di sette migranti traghettati in Albania.

A dir poco una mancanza di rispetto per la sovranità del nostro Paese. Così evidente che la premier Giorgia Meloni e il ministro degli affari esteri Antonio Tajani, con il codazzo di quanti si riempiono la bocca di sovranità proclamando ogni tre per due la necessità e l’urgenza di difendere il sacro suolo italico, avrebbero dovuto – per coerenza – scattare come un sol uomo e pretendere delle scuse dall’impertinente yankee.

Invece nulla di tutto questo. Tanto da costringere il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a intervenire con una tiratina di orecchie dello spocchioso Musk.

Senonché, a ben vedere costui potrebbe meritare addirittura qualche sentito ringraziamento. Perché dicendo quel che ha detto ha spiegato a tutti noi quel che succede nel suo Paese, vale a dire che i rappresentanti dell’accusa possono essere allontanati quando fanno qualcosa di sgradito al potere politico.

Come  in effetti avverrà certamente  per tutti coloro che si sono trovati a dover gestire inchieste a carico di Trump o di uomini del suo entourage, vuoi per l’assalto a Capitol Hill, vuoi per altre vicende non meno scabrose. Un allontanamento che dimostra che, se il Pm  dipende dall’esecutivo, parlare di indipendenza non ha evidentemente alcun senso. Il PM deve ubbidire e basta.

Esattamente quel che finirebbe per accadere anche nel nostro Paese se si introducesse la separazione delle carriere fra Pm e giudici, tanto cara al ministro Nordio e a una pletora di pseudo garantisti.

In altre parole, Musk ci ha aperto gli occhi di fronte ai pericoli di una riforma che da noi viene allegramente presentata come epocale e decisiva per le  sorti felici  della democrazia. Che invece non merita, come vorrebbe qualche nostalgico del bel tempo che fu, di essere mortificata e trasferita nel mondo delle cose virtuali.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 19/11/2024

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