Piazze violente, evitare l’errore di non correggere chi sbaglia
Il racconto che hanno fatto su questo giornale Munafò e Stamin di quanto accaduto a Torino venerdì scorso è chiaro e preciso quanto preoccupante.
Mettiamo in sequenza i fatti successi: la statua di Vittorio Emanuele II imbrattata; un fantoccio del ministro dell’Istruzione Valditara bruciato; cartelli con i volti della premier Meloni e di alcuni suoi ministri, ma anche della leader del Pd Elly Schlein, macchiati con l’impronta di mani rosso sangue; ripetuti lanci di uova contro la polizia; scontri con le forze dell’ordine davanti alla prefettura; lancio di un petardo artigianale e uso di spray urticante con una ventina di agenti intossicati; assalto (riuscito) al Museo del cinema; due negozi di panini messi a soqquadro.
Tutto ciò per protestare contro il malfunzionamento della scuola pubblica e in favore della Palestina.
Sul primo punto Luca Monticelli, sempre su questo giornale, ha scritto cose incontestabili: sono state tradite le promesse sui finanziamenti del PNRR, mancano i fondi pubblici per scuola e università, il centrodestra spinge in manovra per nuovi aiuti alle paritarie, gli Atenei denunciano 700 milioni di tagli.
Quanto alla Palestina, l’attuale politica di Netanyahu può aver avuto all’inizio le migliori giustificazioni di questo mondo, ma ora appare sempre più discutibile per il suo accanimento che coinvolge soprattutto i civili. Dunque, il sacrosanto diritto di libertà di manifestazione del pensiero si intreccia – nel caso di specie – con la validità (quantomeno la non pretestuosità) delle ragioni che motivano la protesta, mentre preoccupano e sono giustamente contestate le modalità anche violente con cui la protesta si è manifestata.
Una raccolta di scritti di Antonio Gramsci è intitolata “Odio gli indifferenti”; in essa si parla tra l’altro dei privilegi della scuola privata e della necessità di un’azione costante contro la guerra. A Gramsci fa eco Piero Calamandrei, che in un discorso diretto ai giovani individua una delle peggiori offese che si possano fare alla Costituzione nell’indifferentismo alla politica, nel senso di non partecipazione alla vita della polis.
Dire ai giovani di starsene a casa e di non scendere in piazza è quindi sbagliato, ma i giovani devono sapere e capire che se si vuole provare a cambiare bisogna metterci l’intelligenza e la capacità di guardare la vita reale, facendosi carico di studiarla senza lasciarsi distrarre da slogan troppo facili e scontati. Men che mai mimando il gesto di impugnare una pistola che riporta ad anni tra i più bui della nostra storia.
Al riguardo sono attualissime le indicazioni del Cardinal Martini contenute nel suo “Discorso alla vigilia di S. Ambrogio” del 6.12.2001: “Chi di noi ha l’età per ricordare i primi tempi della contestazione (fine anni ‘60-inizio anni ‘70) sa che la noncuranza e la leggerezza ostentata anche da chi avrebbe avuto la responsabilità di giudicare e di punire, rispetto ad atti minori di vandalismo e disprezzo del bene pubblico, ha aperto la via a gesti ben più gravi e mortiferi. Chi getta oggi il sasso e si sente impunito, domani potrà buttare la bomba o impugnare la pistola”.
Il Cardinal Martini conosceva molto bene l’importanza del valutare “subito” quanto accade nel mondo che ci circonda. Per evitare che quel che oggi può sembrare un “piccolo” male, conduca – dopo – “a gesti ben più gravi”. Perciò ammonisce coloro che hanno rinunciato al proprio ruolo educativo rendendo orfani di aiuti e riferimenti i giovani che stavano crescendo nel codice della violenza.
Non correggere e non punire chi aveva bisogno di essere aiutato a cambiare, ha rappresentato, di fatto, una violenza che ha generato altra violenza. E in questo modo si è tolta – a quei giovani – la voglia di futuro.
Ecco un errore da non ripetere, aiutando i giovani a capire quanto accade oggi e a giudicare quel che deve essere attuato e realizzato oggi, non domani, restando intanto passivi e indifferenti. Ma accettando anche un giusto equilibrio con le esigenze di sicurezza.
Fonte: La Stampa
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