Made in Usa. Quelli che “da Trump magari viene fuori del bene” e gli altolà della storia
Perdonatemi. Ma io non ce la faccio. Non riesco proprio a essere giulivo. Questa storia che dovremmo respirare una ventata di ottimismo perché l’elezione di Trump sarebbe una grande opportunità per cambiare finalmente le cose, proprio non mi convince.
Lo so, lo so. Ogni crisi è portatrice anche di opportunità. C’è tutto un pensiero filosofico e sociale che da Galilei a Einstein lavora su questa sublime intuizione. Come non vederlo, d’altronde, anche nelle nostre biografie? Si è chiusa una porta, si apre un portone, recita un vecchio adagio popolare. Vissuto mille volte.
Ricordo l’amarezza con cui accolsi il mio licenziamento dal parlamento. Un’intima idea di ingiustizia. E invece in pochi mesi scoprii la bellezza, la felicità di una università pronta ad accogliere i miei sogni. Un rovesciamento di prospettiva di 180 gradi. Un’opportunità gigantesca.
Ma siamo sicuri che ogni crisi apra solo a opportunità, specie a livello di sistema sociale o politico? Che apra a opportunità più grandi di quelle che chiude o dei problemi che può generare? Scusatemi, ma intravvedo in quest’aria disincantata che sfarfalleggia in tanti discorsi, oltre un meritorio ottimismo, anche qualcosa di vagamente marinettiano o perfino di irresponsabile.
Vuoi forse negare che il male possa produrre anche il bene? Me la sento arrivare la domanda. Non è però questo il tema. Saremmo privi di senso della storia a negarlo. Il fatto è che è alla direzione complessiva, al risultato generale di quel che si muove che bisogna saper guardare.
Provo a fare andare insieme cervello e memoria.
Il terrorismo fu una prova terribile per il nostro paese. Le immagini di sangue e di dolore, l’angoscia, il mostro di un’ideologia folle che volteggiava come una maledizione sulle nostre teste. Eppure da lì nacque anche del buono. Gli italiani impararono a schierarsi con le istituzioni, invece di nascondersi dietro l’alibi della corruzione. Lo slogan “né con lo Stato, né con le Bierre” restò alla fine appannaggio di una minoranza largamente sconfitta. Gli italiani scoprirono anche nuove forme di solidarietà.
Ma per scoprirle era davvero necessario passare per quel bagno di sangue e di paura? Il terrorismo, voglio dire, portò per la nostra storia civile anche delle opportunità. Ma a che prezzo? E quale è stato il prezzo pagato all’odio lasciato libero di scatenarsi, grazie al quale la mia generazione scoprì per la prima volta il valore delle parole?
Ecco, mi sembra che si rischi di smarrire il battito possibile della storia.
O forse che l’esperienza del fascismo non ci lasciò una Costituzione che oggi, a democrazia aperta, probabilmente non passerebbe mai? Forse che le stragi di mafia non hanno fatto nascere la legislazione antimafia più avanzata del mondo?
Opportunità: una parola da maneggiare con cura, con la mente aperta alle novità che rendono migliore il mondo ma anche alla saggezza, disposti una volta tanto a farsi alunni dell’unica Maestra con la classe vuota, la celebre “Historia magistra vitae”.
L’altra sera il mio amico Riccardo Orioles, giornalista massimo, ha provato a consolarmi con l’immagine di un nuovo, futuro sessantotto planetario, sia pure da spalmare in un po’ di anni. Bella immagine, e tentatrice.
Ma io penso ai muri che si ergeranno contro i disgraziati, indicati all’odio altrui da avventurieri senza cuore; penso al clima, all’ambiente, alle alluvioni, al disastro ecologico, alle nuove generazioni a cui avevamo appena promesso il ritorno delle lucciole, e penso che questo è solo il tempo della responsabilità, in cui, in ogni secondo, massima deve essere la responsabilità di ciascuno di noi. Anche nelle parole che usiamo.
Perché le parole, questo lo sappiamo, sono pietre. Non però materiale da tirare addosso a qualcuno, come spesso si pensa, ma materiale, buono o avvelenato, con cui costruire le case in cui abitiamo. Le case in cui le opportunità nascono o muoiono.
Il Fatto Quotidiano, Storie Italiane, 11/11/2024
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