Migrazione: una visione diversa del fenomeno, nel rispetto dello stato di diritto
Se ci fermassimo un attimo a pensare a quello che a livello legislativo e giuridico sta accadendo in Italia e in Europa riguardo al tema della migrazione ci renderemmo conto che siamo di fronte a un baratro normativo pericoloso.
Dopo che il ‘900 era stato caratterizzato dalla nascita per la prima volta di una normativa che poneva le basi per il riconoscimento dei diritti inalienabili delle persone, oggi siamo di fronte a scelte politiche che stanno fracassando questi diritti anche in Italia.
La dichiarazione universale dei diritti umani, firmata dal nostro paese, stabilisce all’art.13 “Terra: casa comune” al comma 2 che “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese“. È il diritto fondamentale ad abitare la casa comune da parte di “tutti i membri della famiglia umana”. La libertà di movimento è infatti considerata una delle condizioni indispensabili per il libero sviluppo della persona.
Questo non vuol dire che ogni paese debba accogliere tutti coloro che arrivano come migranti, ma certo vuol dire che il fenomeno della migrazione non può essere vissuto come un fatto emergenziale come avviene ormai da noi da circa 30 anni (dalla legge Bossi – Fini) e soprattutto non può essere gestito attraverso scelte politiche che spingono l’opinione pubblica a vedere negli stranieri che approdano da noi dei nemici (soprattutto se hanno un colore della pelle diverso dal nostro).
Invece è quello che sta accadendo nel nostro contesto occidentale, proprio in quella parte di mondo dove ancora regna l’illusione che esista un vero staro di diritto.
Ormai la parola migrante ha una connotazione negativa e si sta perdendo il diritto universale alla mobilità. Noi italiani uniamo al termine migrante immediatamente il termine clandestino, come la politica ci ha spinto a fare con le sue scelte legislative.
Basta analizzare quello che sta avvenendo nel nostro paese, negli ultimi due anni.
Nel 2023 iniziano i viaggi senza senso delle navi delle Ong verso i cosiddetti porti sicuri e l’impossibilità per quelle stesse navi di fare più di un salvataggio per volta.
Si stabilisce in un regolamento che l’Italia riconosce 22 paesi come sicuri (ora ridotti a 19 con l’ultimo decreto legge di questi giorni in netto contrasto con le disposizioni della Corte di Giustizia Europea). La Germania ne riconosce 10, la Francia 13.
Con il cosiddetto decreto Cutro si è riformata in modo più restrittivo sia la protezione umanitaria che la procedura per la richiesta di asilo. Si prevede inoltre una procedura accelerata con forme di detenzione per diverse settimane e una detenzione amministrativa all’interno dei cpr (centri di permanenza per il rimpatrio ) fino a 18 mesi. Tutto ciò in assenza di un reato.
Inoltre per la prima volta si toccano i diritti anche dei minori prevedendo la possibilità di accogliere chi ha più di 16 anni anche in strutture per adulti. Sempre per i minori si dispone l’applicazione di specifiche prove mediche (non più scientificamente vere) per stabilire se hanno meno di 18 anni.
Infine, si prevede anche una forma di quasi reclusione in un paese diverso come l’Albania, in strutture gestite dalle nostre forze di polizia, con procedure di urgenza di valutazione del diritto d’asilo per le persone maggiorenni raccolte in acque internazionali e provenienti dai cosiddetti paesi sicuri.
Tutto ciò ci porta a dire che siamo di fronte a un approccio quasi di tipo colonialistico, come mai abbiamo avuto in precedenza.
Una insistenza quasi persecutoria che assume forme anche grottesche, come nel caso della rivolta passiva nelle carceri diventata oggi reato penale ed estesa anche a chi è ospitato nei cpr.
Ma non sono forme di apartheid queste?
Guardando all’Europa, nei mesi scorsi è stato votato e approvato un nuovo sistema per il riconoscimento del diritto all’asilo politico con molti restringimenti. Entrerà in vigore nel 2026 ma, di fatto, con queste decisioni sulla pelle dei migranti si stanno tirando su nuovi muri in Europa.
Eppure l’Europa è il continente dove sono nati i diritti, proprio per tutelare i più deboli. Per questo capiamo che è in gioco la democrazia.
Dobbiamo ricordarci che un regime si definisce non democratico quado esclude dai diritti ritenuti inalienabili alcune categorie di persone; quello democratico è l’opposto.
Ma non non si potrà impedire mai il fenomeno dei migranti. Questa è la realtà, che ci piaccia o no.
L’Italia è al centro dell’Europa con migliaia di chilometri di coste, è normale che le persone arrivino qui. È sempre stato così da millenni, da quando dalla Grecia si arrivava attraverso il mare Jonico sulle coste calabresi, da quando lungo le Alpi arrivavano popolazioni dal nord Europa.
Noi siamo il risultato di questi incroci, di secoli e secoli di contaminazioni. Altro che purezza della cosiddetta “razza”.
È necessario oggi gestire il fenomeno trovando il punto di massimo beneficio tra chi arriva e chi accoglie .
Il sindaco di Roccella Jonica, diventato uno dei luoghi di approdo dopo che da qualche anno si sta sviluppando una nuova rotta di arrivi che parte dalla Turchia, ci fa capire che occorre un approccio diverso al fenomeno migratorio: “Alle persone che sbarcano qui da noi chiediamo non da dove sono partiti ma da dove sono scappati, perché chi scappa non può rinunciare al viaggio. Da noi approda chi scappa e non sono migranti ma profughi. Dobbiamo individuare i paesi sicuramente insicuri. Si parte comunque da stati dove l’Italia ha consolati. Perché non si mette in piedi un sistema che intercetta l’ispirazione e la disperazione di chi parte, favorendo gli ingressi legali. All’Italia non servono braccia ma cuori e cervelli per aiutarci in un nuovo sviluppo. Tutto ciò ci rende nudi di fronte a una realtà che vede un paese come il nostro in trasformazione: il miglior amico di mio figlio ha un nome straniero, i nostri migliori atleti sono di colore, sono curato da un medico di altra pelle…questa è l’Italia che si va costruendo, che ci piaccia o no…e non dobbiamo averne paura. Noi siamo il risultato di tante contaminazioni che sono avvenute nei secoli nel nostro paese”.
Parole molto importanti che ci fanno uscire da una logica politica volutamente incentrata sull’emergenza che crea paura.
Inveve noi stiamo dando vita a una serie di centri di rimpatrio che sono dei luoghi di carcerazione, dove si entra senza un processo. L’unico reato è essere migrante. Un reato non contemplato da nessun trattato, da nessuna norma che riguardi i diritti delle persone.
Tanto che i nostri governanti parlano di difesa dei confini.
Difesa da cosa? Da persone che cercano soprattutto una speranza? O che nella maggior parte dei casi vedono nell’Italia solo un paese di transito e non di soggiorno. Ma i confini non sono solo gli spazi che delimitano l’inizio di un paese, ma servono anche a consolidare la vicinanza tra i paesi che confinano tra di loro.
Noi come popolo siamo il frutto di confini superati e la contaminazione avvenuta ci ha portato ad essere quello che siamo.
Dobbiamo uscire dalla logica emergenziale e rifiutare la rappresentazione politica data oggi alla migrazione.
Quanto accade è il frutto anche di ciò che abbiamo seminato come europei, dopo secoli di colonialismo, secoli di sfruttamento del continente Africa, frutto di guerre recenti molto spesso guidate da noi Occidentali.
Forse, se guardiamo la storia e ciò che abbiamo fatto, scafisti siamo anche noi che abbiamo contribuito, come continente, a far salire su quelle barche queste povere persone.
Siamo chiamati a saper “utilizzare” al meglio questa risorsa in termini non di braccia da sfruttare ma di intelligenze, speranze, capacità, che arrivano a dare una mano a un paese e a un continente che ne hanno bisogno.
Solo cambiando paradigma si potrà vedere nel fenomeno migratorio non un’emergenza, che non c’è, ma una risorsa che sappia coniugare insieme le nostre necessità e quelle di coloro che arrivano.
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