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“Tutelare i diritti, ma solo aggredendo i patrimoni illeciti si combatte la mafia”

Gian Carlo Caselli il . Diritti, Economia, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria

L’ex Procuratore: attenzione ai formalismi. “Segui il denaro” diceva Falcone: e vale oggi, anche se la criminalità è cambiata.

È noto che i mafiosi mettano in conto di poter finire in galera; quel che non sopportano invece è che si tocchino i loro “piccioli”. Sui quali costruiscono il loro potere, che è anche “relazioni esterne”.

Vale a dire affari in comune con vari personaggi che contano nel mondo legale, avidi anch’essi di “piccioli”. Tutti lo sapevano da sempre, ma per avere una risposta sul piano investigativo-giudiziario bisogna arrivare al 1982.

Quando la sollevazione di popolo seguita alla rabbia e allo sdegno causati dall’omicidio del generale-prefetto Dalla Chiesa, di sua moglie Emanuela e del poliziotto Domenico Russo svegliò il nostro Paese da un torpore durato troppo a lungo e impose di inserire nel nostro ordinamento due novità che si riveleranno decisive nella lotta alla mafia: il reato di associazione mafiosa (416 bis c.p.) e le misure di prevenzione patrimoniale, che permettono di colpire – oltre al mafioso che delinque per arricchirsi – proprio le ricchezze ottenute delinquendo, che vengono confiscate se il mafioso non è in grado di ricollegarle a una attività lecita.

Ed ecco l’inversione dell’onere della prova, tanto utile nel contrasto della criminalità mafiosa quanto invisa ai garantisti tutti, quelli autentici e quelli “pelosi”, cioè volti a depotenziare la magistratura di fronte al potere economico e politico, oppure a graduare le regole in base allo status sociale dell’imputato.

Falcone diceva “segui il denaro”, ma quando cominciò a lavorare a processi di mafia con Rocco Chinnici, questi dovette sorbirsi l’inviperita reprimenda di un alto magistrato che lo ammonì di non dare processi di mafia a quel Falcone, perché si rischiava di rovinare l’economia palermitana. Chinnici ovviamente non gli diede retta, sicché Falcone e gli altri del pool continuarono a occuparsi di criminalità mafiosa anche nei suoi risvolti patrimoniali. Ora le criminalità sono diverse rispetto ai tempi di Falcone. Si va da coloro che si approfittano degli anziani truffandoli, ai narcotrafficanti, a coloro che fanno dei dati personali illecitamente sottratti un fiorentissimo e innovativo modo di accumulazione di ingentissimi profitti, fino ai terroristi internazionali che trovano linfa proprio in patrimoni illecitamente accumulati.

E le nuove mafie (senza per altro rinunziare alle redditizie attività “tradizionali”) agiscono anche su livelli più sofisticati. Parliamo di investimenti internazionali, di centrali off shore, del mercato delle criptovalute e delle monete elettroniche. Parliamo delle nuove tecnologie nel settore finanziario: blockchain, high frequency trading, import-export, fondi di investimento internazionali. Si registra dunque il passaggio delle mafie dalla strada alle stanze ovattate dei consigli di amministrazione e delle grandi centrali finanziarie, dove si possono decidere i destini di un intero comparto economico. Quindi ancora “segui il denaro”.

Con le nuove criminalità abbiamo lo stesso fenomeno accumulatorio ingiustificato. E illecito. Per cui lo strumento dell’aggressione patrimoniale ai patrimoni illeciti resta sempre fondamentale. Certo bisogna cercare di coniugarlo al meglio con la tutela dei diritti individuali nell’ambito di quello che è un giusto processo.

Ma guai se vi fosse un retro pensiero volto alla cancellazione di fatto delle nostre misure di prevenzione. Sul versante dell’amministrazione della giustizia, la nostra Corte di cassazione sembra muoversi bene, senza discostarsi dai fatti e dal loro contesto (il riferimento è in particolare alla sentenza 4.306/2015).

Allo stesso modo la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), occupandosi di questa materia, dovrebbe a mio avviso evitare il formalismo astratto del caso Contrada, che produce giustizia da laboratorio, avulsa dal mondo concreto della mafia. A meno di volersi richiamare al don Ferrante manzoniano: che negava la peste mentre ne stava morendo…

In breve, benvenuti gli sforzi di condurre pure il procedimento di prevenzione all’ambito del giusto processo, ma tenendo saldo lo strumento dell’aggressione patrimoniale. E senza mai dimenticare che “l’economia cattiva scaccia quella buona”, penalizzando gli operatori onesti che un ordinamento democratico ha invece l’obbligo di tutelare.

Fonte: Corriere della Sera/Torino

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