I frutti avvelenati della commissione antimafia
Tot capita tot sententiae. È un detto latino che significa “tante teste tante idee”. Qualche burlone preferisce tradurlo con “tutto capita nelle sentenze”.
Una traduzione che è diventata di attualità, ora che la Commissione parlamentare antimafia vuol far fuori alcuni suoi componenti che hanno speso tutta la vita nell’impegno antimafia, con risultati ragguardevoli. Una cosa da non credere, per non usare anche in questo caso la parola burla. Far fuori, a scanso di equivoci, nel senso di varare a metà consigliatura una nuova norma che consenta di escludere dai lavori e dalla consultazione di documenti chi si trovi in una situazione di “presunto” conflitto di interessi.
Già la stessa parola “presunto” suona come un campanello d’allarme: per la sua ontologica incertezza e per i suoi confini sfuggenti e indefinibili, che lasciano margini vastissimi a interpretazioni molteplici, anche diametralmente opposte.
A parte il fatto che si tratterebbe di giudicare la “presunzione” nei confronti di deputati e senatori democraticamente eletti dal popolo, poi nominati consiglieri dell’Antimafia dal Presidente del Senato e della Camera, su designazione dei gruppi parlamentari: vale a dire che – a tutto concedere – c’è il rischio, se non la certezza, che si inneschi un corto a circuito. Difficilissimo da governare, con tempi e risultati imprevedibili .
E tuttavia questa specie di commedia dell’assurdo rischia di essere messa in scena davvero, essendo proprio la Presidente dell’Antimafia Chiara Colosimo ad aver proclamato l’intenzione di proporre una norma (come già detto) contro i membri della Commissione in presunto conflitto di interessi.
Un frutto avvelenato, che sulla scorza sembra riferirsi a un problema di funzionamento della Commissione, mentre tutti, nessuno escluso, sanno benissimo che in realtà sotto la scorza si leggono – chiari chiari – i nomi di due consiglieri di opposizione (M5S) e precisamente Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato.
Per cui, attenzione. Sarebbe certamente un intervento riconducibile alla categoria delle leggi ad personam, che già tanti guai hanno causato al nostro Paese. Le leggi care all’ombra lunga che continua a pesare sull’attuale maggioranza parlamentare, quella di Silvio Berlusconi. Governando il quale fu appunto un susseguirsi di leggi ad personam, per il perseguimento di un disegno che confonde il rilancio della giustizia con la normalizzazione dei magistrati, al punto da mettere a rischio l’intero sistema.
Nel merito, non posso non ricordare che alla Procura di Palermo ho lavorato con Scarpinato, “sfruttandone” le doti, per anni.Gli anni terribili del dopo stragi, quando sembrava tutto finito e che non ci fosse più niente da fare (parole di Nino Caponnetto, il capo del pool di Falcone e Borsellino).
Invece l’impegno comune di tutti (la magistratura, le forze dell’ordine, l’esercito con l’operazione Vespri siciliani, la Palermo delle lenzuola bianche alle finestre e ai balconi, la politica magicamente unita nell’approvare all’unanimità il 41 bis) ci ha consentito di fare blocco e di superare quella orribile stagione, salvando senza retorica la nostra democrazia.
Quanto a Cafiero, tutti hanno potuto apprezzare la sua attività e i risultati ottenuti contro la camorra e la ‘ndrangheta alla procura di Napoli e poi come procuratore capo di Catanzaro: un percorso professionale che l’ha portato al vertice della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Per cui faccio sinceramente fatica a credere che i due ex colleghi possano essere stati o diventati quello che pensano quanti considerano un ”nemico” (e non un interlocutore con cui confrontarsi) chi la pensi diversamente da loro.
Fonte: La Stampa, 21/10/2024
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