Israele e le sue contraddizioni
Non ci sono parole per descrivere quanto sta avvenendo in Terra Santa in questi lunghi mesi, da quel 7 ottobre 2023, data che ha cambiato la storia non solo di quella parte così importante del nostro mondo.
Forse come non mai, dal dopoguerra in poi, da quando una parte della terra chiamata Palestina è stata consegnata al popolo ebraico e si è costituito lo stato d’Israele, si è arrivati a una distanza così forte tra lo stato di Israele e la comunità internazionale.
Si avverte in modo netto la contrarietà delle nazioni e degli organismi internazionali verso il governo israeliano, che da Gaza al Libano, dall’Iran alla Siria, continua ad alimentare venti di guerra senza alcuna sosta o desiderio di fermarsi.
Dall’altro lato la comunità internazionale, a partire dall’Onu e dagli Stati Uniti, dimostra tutta la sua fragilità nei vani e deboli tentativi di fermare le persone che guidano Israele.
Da sempre Israele o meglio il popolo ebraico, è stato considerato quasi come un estraneo rispetto alla comunità internazionale, e certamente non solo per gli atteggiamenti del mondo nei suoi confronti.
Questo considerarsi ed essere considerato, sia in senso positivo che in senso negativo, “il popolo eletto”, aldilà della fede religiosa, è diventata una caratteristica storica da migliaia di anni, che accompagna oggi Israele e dalla quale non sa o non vuole liberarsi.
In questi giorni sto leggendo il libro di Aldo Cazzullo “Il Dio dei nostri padri”, una rilettura della Bibbia.
Una lettura importante quella del Vecchio Testamento, che si snoda nel lungo racconto di un Dio che stringe un’alleanza prima con delle persone che guidano delle tribù (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe), poi con persone chiamate a guidare un popolo (Mosè, Salomone, Saul, Davide, ecc…) con l’intento di arrivare in una terra promessa dove vivere, nell’attesa di un Messia.
Un gruppo di tribù che si trasforma in popolo a cui è promessa una terra di latte e miele e una discendenza sterminata, che Dio accompagna nella sua costruzione come comunità che sa darsi delle regole e delle leggi.
Dalla lettura del libro di Cazzullo si intuisce come la parte dell’ antico testamento sia fortemente radicata nel popolo ebraico, nella parte più interiorizzata e idealizzata che costituisce la radice di una comunità che si trasforma in un popolo.
Tutto questo non giustifica la storia degli ultimi 80 anni di Israele, spesso in guerra con le nazioni confinanti, e soprattutto per quanto da troppo tempo sta facendo contro i palestinesi.
Tanto meno giustifica quanto il governo israeliano sta facendo oggi contro migliaia di persone inermi, sviluppando un odio nelle popolazioni che vivono in quella terra martoriata, che durerà per altri decenni.
Ma deve aiutare noi a non cadere in un antisemitismo che non aiuta a cercare di fermare l’escalation assurda come quella portata avanti da Nethanyau.
Lo scrittore israeliano David Grossman nel libro “Con gli occhi del nemico”, dedicato al suo popolo e alla questione palestinese, scrive che Israele da sempre deve risolvere un suo cruciale dilemma che ha caratterizzato tutto il corso della sua esistenza.
Quello “se sia un popolo di un luogo o un popolo di un tempo” sospeso tra l’idea di sentirsi un popolo eterno e l’idea di saper vivere come gli altri all’interno di determinati confini.
Il suo ancora oggi è quello di dare più credito al sentirsi più un popolo eterno che non sa vivere in pace tra confini stabiliti, tessendo rapporti con le nazioni vicine, ricercando una pace duratura, anziché vedere un nemico in ogni diversità.
Un popolo che non sa vivere in pace neanche al suo interno, viste le sue tante e diverse componenti: tra ebrei laici e religiosi, tra ebrei e arabi, costretti a convivere insieme.
Oggi la comunità internazionale non può più sopportare l’atteggiamento disumano che sta tenendo il governo israeliano e deve reagire con atti concreti.
Sospendere la fornitura di armi, iniziare a riconoscere lo stato palestinese, sostenere e non smantellare le basi Unifil ai confini del Libano, indebolire un governo che si sta dimostrando inadeguato. Sono alcune delle risposte immediate oggi necessarie.
Ma, al tempo stesso, c’è un compito che compete anche a tutti noi, e che è necessario per costruire una pace duratura.
Quello di non vedere nel popolo israeliano un nemico e di non considerarlo quasi come un estraneo o un intruso. In fondo dentro di noi continua ad esistere l’idea del ghetto in cui confinare questo popolo.
Ciò favorirebbe ancora di più la solitudine esistenziale di Israele che non porterebbe mai a una pace vera in una terra che amiamo e che sentiamo come nostra.
Perché se la Bibbia è il libro dei nostri padri, la Palestina custodisce anche buona parte delle nostre radici più profonde.
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