Assange, chi vince e chi perde nel bilancio tra politica, giustizia e libertà di stampa
La sua vicenda ci dimostra come la separazione dei poteri non è garantita nemmeno nei paesi democratici.
Assange ha parlato da uomo libero per la prima volta in un discorso pubblico. È australiano, ma ha scelto come sede per il suo intervento la Commissione per gli affari giuridici e i diritti umani dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce). Quell’Europa che è stata culla della democrazia fin dai tempi degli antichi greci. E, da uomo libero, ha detto al mondo di essere stato costretto a scambiare la sua libertà con la giustizia, la sua prigionia con la libertà di espressione, la sua vita con il suo lavoro. E noi cosa abbiamo compreso?
In primo luogo in questa storia, lunga 14 anni, c’è la considerazione che gli Stati hanno delle ragioni che la ragione non comprende, per parafrasare Pascal, ma anche delle ragioni che la democrazia non comanda. E chi comanda allora? Il potere esecutivo è il più forte? Quando questo accade, quando la forza dei governi prevale e prevalgono anche i loro legislatori, quando il Parlamento è svuotato dei propri compiti e la decretazione d’urgenza è il braccio destro per le realizzazioni dell’esecutivo, allora è il momento di quelle “torsioni autoritarie” che alcuni costituzionalisti e giuristi, a partire da Gustavo Zagrebelsky, hanno denunciato più volte negli ultimi anni e che le destre – specie quelle estreme – si sono sempre affannate a negare.
I giornalisti, cani da guardia del potere, si sono girati dall’altra parte, tranne rare eccezioni. Non hanno voluto vedere, né sapere. In alcuni casi, non hanno potuto scriverne. Troppo spinoso l’argomento, troppo pesanti le accuse, troppo incerta la materia: servizi segreti, presidenti, azioni coperte da top secret, guerre, soldati, diplomazia e interessi politici. Per contro un movimento planetario per sostenere il giornalista australiano si è diffuso, sia in presenza che attraverso i social, riempiendo quei vuoti lasciati da una stampa silente e da una politica ignava, in tutt’altre faccende affaccendata. Insomma un bilancio malinconico sotto alcuni aspetti, inquietante sotto altri.
La voce di WikiLeaks: è un prigioniero politico
Il cofondatore di Wikileaks si è recato a Strasburgo “per testimoniare” della sua prigionia. Assange ha parlato, nel suo primo intervento pubblico da quando è stato rilasciato dal carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh, il 26 giugno scorso. Lo aveva annunciato WikiLeaks, spiegando che si sarebbe recato di persona a Strasburgo il primo ottobre, dopo la pubblicazione di un rapporto d’indagine sulle ”implicazioni della sua detenzione e i suoi effetti più ampi sui diritti umani, in particolare sulla libertà del giornalismo”.
L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ne ha poi discusso il 2 ottobre: ha sostenuto come questo rapporto confermi che Assange “è un prigioniero politico” e pertanto ”invita il Regno Unito a svolgere un’indagine indipendente al fine di determinare se ha subito un trattamento disumano o degradante’” mentre era in carcere.
Era stato arrestato dalla polizia britannica nell’aprile del 2019, dopo sette anni trascorsi nell’ambasciata ecuadoriana a Londra per evitare l’estradizione in Svezia, a causa di un’inchiesta per stupro in seguito archiviata per mancanza di prove. Ha poi trascorso cinque anni nella prigione britannica a est di Londra, cercando di evitare l’estradizione negli Stati Uniti, dove è stato accusato in base a una legge sullo spionaggio risalente al 1917. “Julian Assange si sta ancora riprendendo dopo il suo rilascio dal carcere”, ha commentato WikiLeaks.
La voce di Assange: il giornalismo non è un crimine
In tutto sono stati 12 anni di limitazione della libertà personale. A 53 anni il giornalista – liberato a inizio estate grazie a un patteggiamento con gli avvocati americani – è rimasto finora in convalescenza in un luogo isolato sulla costa dell’Australia vicino a Melbourne, insieme alla famiglia. A Strasburgo è apparso lucido ed eloquente davanti alla Commissione: al suo fianco la moglie Stella Moris e Kristinn Hrafnsson, editore di WikiLeaks. È stato chiamato a testimoniare soprattutto sulle condizioni della sua detenzione, tuttavia il suo discorso si è incentrato su ciò che la persecuzione politico-giuridica subita rivelava sulla tenuta della nostra democrazia e quali effetti nefasti potrebbe avere sulla libertà di stampa, in particolare sul giornalismo investigativo.
“Da quando sono uscito da Belmarsh ho notato un grande cambiamento nella nostra società”, ha detto. E ha proseguito spiegando come, nel 2010, WikiLeaks era riuscita a creare un dibattito pubblico sugli orrori della guerra, rivelando un video che mostrava l’uccisione di alcuni civili – tra cui due giornalisti – da parte di militari statunitensi da un elicottero in volo sopra Baghdad. “Ma erano altri tempi. Oggi vengono trasmessi tutti i giorni in streaming, da Gaza e dall’Ucraina, orrori ancora più grandi; vediamo giornalisti uccisi a decine. Eppure perdura l’impunità dei colpevoli. L’Intelligenza Artificiale viene adoperata per poter aumentare il numero di bersagli da colpire, per l’assassinio di massa. Perciò serve – ha concluso – una presa di posizione ferma da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa contro questa barbarie, per la sopravvivenza della democrazia e anche per la sopravvivenza del giornalismo investigativo, che si trova sempre di più sotto tiro”.
Sebbene Assange non si sia soffermato sulle condizioni della sua reclusione, la Commissione ha potuto raccogliere diverse altre testimonianze al riguardo, oltre a ordinare un’inchiesta specifica portata avanti dalla parlamentare islandese Sunna Ævarsdóttir. In seguito ha stilato una bozza di risoluzione discussa, messa ai voti e approvata dall’Assemblea del Consiglio d’Europa, formata da 46 Stati. In sostanza, il documento considera le accuse formulate contro Assange dalle autorità statunitensi “sproporzionatamente gravi”, a tal punto che l’australiano meriterebbe la qualifica di “prigioniero politico”. Infatti, nel rivelare i crimini di guerra commessi dalle forze armate Usa in Afghanistan e in Iraq, Assange ha semplicemente agito da giornalista investigativo e perseguitare un giornalista, in quanto tale, costituisce una persecuzione politica. Secondo la bozza, questa persecuzione potrebbe avere un “effetto deterrente” sul giornalismo investigativo in tutto il mondo.
Gli anni di carcere del prigioniero sono stati un periodo di “detenzione arbitraria”, durante cui avrebbe potuto subire “trattamenti disumani o degradanti”. E qualora non ce ne fossero stati, le autorità britanniche vengono considerate comunque colpevoli di non essere “riuscite a proteggere efficacemente la libertà di espressione e il diritto alla libertà di Assange, esponendolo a una lunga reclusione in un carcere di massima sicurezza, nonostante la natura politica delle accuse più gravi a suo carico”. È evidente, ha aggiunto la Commissione, che la sua detenzione abbia “superato di gran lunga la durata ragionevole accettabile per l’estradizione”. Gli Stati Uniti, invece, paese osservatore del Consiglio d’Europa, vengono invitati a “indagare sui presunti crimini di guerra e sulle presunte violazioni dei diritti umani rivelati da WikiLeaks” e a non lasciarli impuniti com’è avvenuto finora. Il dibattito sulla bozza della Commissione, integrata con quanto ha riferito Assange il giorno precedente, si è tenuto davanti all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa il 2 ottobre, alla presenza del giornalista australiano in tribuna d’onore”, spiega Patrick Boylan, autore del libro Free Assange e cofondatore del gruppo Free Assange Italia.
La voce dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: le mancanze di America e Inghilterra
L’Apce ha espresso grande preoccupazione per “il trattamento sproporzionatamente duro” al quale è stato sottoposto Assange, dichiarando che questo ha avuto un “pericoloso effetto dissuasivo” che mina la protezione dei giornalisti e dei whistleblower in tutto il mondo. Ha approvato quindi una risoluzione, basata sul rapporto di Sunna Ævarsdóttir sul fatto che il trattamento riservatogli giustifica il suo riconoscimento come “prigioniero politico” secondo una definizione accettata nel 2012, citando le gravi accuse mosse contro di lui dagli Stati Uniti, che lo hanno esposto a un possibile ergastolo, in combinazione con la sua condanna ai sensi della legislazione statunitense sullo spionaggio “per ciò che era, invece, raccolta e pubblicazione di notizie”.
L’Assemblea ha chiesto agli Usa di indagare sui presunti crimini di guerra e violazioni dei diritti umani rivelati da Wikileaks e dal suo cofondatore. La mancata inchiesta, unita al duro trattamento di Assange e Manning, genera la percezione che lo scopo del governo statunitense nel perseguire l’australiano fosse “nascondere le irregolarità commesse dagli agenti di Stato, anziché proteggere la sicurezza nazionale”. L’America, inoltre, è stata sollecitata a “riformare con urgenza” la legge sullo spionaggio del 1917 per escluderne l’applicazione a editori, giornalisti e whistleblower che divulgano informazioni classificate con l’intento di sensibilizzare il pubblico rispetto a reati gravi. Dal canto loro, le autorità britanniche non hanno effettivamente protetto la libertà di espressione e il diritto alla libertà di Assange – hanno sottolineato i parlamentari – “esponendolo a una lunga detenzione in un carcere di massima sicurezza, nonostante la natura politica delle accuse più gravi mosse contro di lui”.
Fonte: MicroMega, 04/10/2024
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