Assange torna in Europa. Magari a Roma?
Una lacrima sul viso era inevitabile, quando il fondatore di WikiLeaks ha preso la parola alle nove del mattino di ieri, davanti al Consiglio d’Europa a Strasburgo. L’udienza è stata promossa dalla Commissione per gli affari giuridici e i diritti umani dell’Assemblea.
Com’è noto, Assange è stato perseguito dalla giustizia dal 2010 e ha passato gli ultimi anni nel carcere speciale londinese di Belmarsh, fino allo scorso 24 giugno. Dopo un lungo batti e ribatti del collegio difensivo contro la richiesta di estradizione invocata dagli Stati uniti con l’accusa di spionaggio, finalmente fu raggiunto un compromesso positivo con i giudici d’oltre oceano: nel gergo italiano un patteggiamento.
Ecco, un ancora provato ma energico Assange ha sottolineato proprio tale aspetto: nell’accettare – per chiudere una vicenda shakespeariana dalle tinte tragiche – uno dei capi (su 18) di accusa ha in qualche modo dovuto ammettere quasi a mo’ di colpa di avere svolto giornalismo di inchiesta. È pur vero che proprio l’eccellente collegio difensivo – cui ha partecipato con un ruolo importante la moglie Stella Moris – ha evitato nell’atto conclusivo di fronte alla Corte statunitense collocata nelle isole Marianne di vedersi ratificare il diniego del ricorso al primo emendamento della Costituzione di Washington, che attribuisce alla libertà di informazione un ruolo sacrale.
Tuttavia, il compromesso c’è stato, ma proprio questo ha offerto l’opportunità ad Assange di sottolineare che le leggi sono solo pezzi di carta e che i giornalisti si devono comunque sentire in dovere di trasmettere la verità. E se si è attaccati per «eccesso di giornalismo» è necessario difendersi a vicenda e non arretrare o scusarsi.
Da accusato è diventato accusatore l’ex nemico pubblico di Svezia, Gran Bretagna e Usa, e pure da un certo punto in poi Ecuador nella cui ambasciata nel Regno Unito è rimasto chiuso in una stanza per tantissimo tempo. La censura o persino l’attacco fisico (vedi Gaza) riguardano non qualcuno, bensì tutte e tutti. Il rigore professionale è sempre stato altissimo e le fonti primarie hanno avuto una funzione cruciale. «Il giornalismo non è un crimine; è un pilastro di una società libera e informata».
Gaza è un luogo non per caso ripetutamente evocato, perché lì la cronaca coraggiosa e non embedded porta al ferimento e alla morte. Quanto sapremmo, tra l’altro, della guerra in Ucraina o dell’eccidio del popolo palestinese o dell’attacco al Libano se WikiLeaks fosse ancora in attività con Assange e il direttore Kristinn Hrafnsson, nonché con il gruppo di cronisti e whistleblowers sparsi nel villaggio globale?
Conosciamo ben poco e forse anche a causa dell’oscurità che copre la guerra semi-mondiale in corso un movimento pacifista mondiale stenta a crescere.
L’audizione al Consiglio d’Europa costituisce finora l’unica occasione pubblica che ha potuto avere Assange, cui non è permesso di muoversi dall’Australia e tanto meno di mettere piede negli Usa. Ecco perché l’evento di ieri ha un valore non contingente, bensì storico. Potrebbe diventare una sorta di nuovo inizio. Anzi. Il collegio di difesa ha avanzato l’ipotesi di una grazia, alla vigilia delle elezioni americane: con un atto di clemenza da parte di Biden per riparare alla malvagia persecuzione che ha inseguito una personalità straordinaria, che meriterebbe ora il Premio Pulitzer.
Sarebbe il caso che le testate che utilizzarono a man bassa – prima di voltare le spalle – i leaks per scriverci notizie spesso da prima pagina si mobilitassero per un riconoscimento dovuto. Assange ha potuto ritrovare moglie e figli, e una suocera cortesemente presa un po’ in giro. Finalmente è una persona che vive, dopo aver rischiato di lasciare anzitempo la terra.
Un invito va rivolto al sindaco di Roma Gualtieri. E se proprio Roma fosse la seconda città non australiana visitata da Julian Assange, per ricevere la cittadinanza della Capitale italiana concessa dopo un iter alquanto faticoso? Roma è un palcoscenico unico e si ricongiungerebbe con gli aspetti – quelli gloriosi – della sua storia.
Fonte: il manifesto
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