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Rostagno, quel giornalismo che non nascondeva le notizie

Rino Giacalone il . Giustizia, Informazione, Mafie, Memoria, Sicilia, Società

Trapani: puntualmente ad ogni anniversario ci si affolla nei ricordi, per poi tornare alla routine dei silenzi contro la quale combatteva il giornalista ucciso dalla mafia.

Scrivo con fatica. Un poco per causa mia, per aver giocato d’azzardo con la salute.

Un poco per il solito affollarsi di iniziative, ricordi, vedo i social che si riempiono di parole, storie, propositi di buone azioni e oggi sarà ancora di più, perché siamo nel triste giorno dell’anniversario, il 36°, dell’omicidio di Mauro Rostagno, il sociologo, giornalista, fondatore di Lotta Continua, terapeuta e tanto altro, venuto a morire, ammazzato dalla mafia, in questa terra di Sicilia, nelle campagne di Lenzi, tra Valderice e Trapani, il 26 settembre del 1988.

In questo palcoscenico di buoni intenzionati, ne vedo tanti, tantissimi, che non vedono l’ora che anche questo 26 settembre sia trascorso.

Parlo soprattutto di Trapani, dove c’è chi nasconde quei pezzi di verità che mancano sul delitto Rostagno. E la strategia messa in campo, per continuare a nascondere, è quella di riscrivere la storia della città, cancellare gli intrighi, far passare i carnefici, materiali e morali, per vittime, o addirittura santi. Qualcuno ci prova e non lo fa nemmeno da solo, ha buona compagnia, sotto l’ala di quella congrega di massoni e destroidi che dopo il delitto Rostagno si diedero da fare per sporcare la figura dell’ucciso.

Fu la mafia ad ucciderlo, lo hanno scritto i giudici, condannando all’ergastolo il mafioso Vincenzo Virga, ma lo scenario non è completo, sono stati scoperti i mafiosi con le coppole e le lupare ma mancano all’appello i mafiosi che l’hanno fatta franca, quelli che nel 1988 erano dentro le logge della massoneria segreta e deviata, e dentro certe logge sono rimasti o ci sono i loro figli o nipoti, o novelli neofiti e fanatici devoti, quelli che dentro le logge parlavano col potere, concordavano le scelte, discutevano di piccioli, di soldi, di banche e di appalti, oppure di magistrati da comprare o spiare, di investigatori da far trasferire.

Era il 1988 e raccontando di quel tempo il pentito Giuffrè parlando con i giudici disse che “a Trapani c’erano i cani attaccati”, nessuno poteva dare la caccia ai mafiosi. Rostagno fu ammazzato per volere dei vertici di Cosa nostra, Messina Denaro (padre), ma dopo il delitto venne fatto altro lavoro sporco, dai mafiosi e massoni che frequentavano anche certe caserme.

La pista mafiosa che era lì a portata di mano, parola dell’allora dirigente della Squadra Mobile Rino Germanà, per certi investigatori dei Carabinieri e un procuratore della Repubblica, venne definita inverosimile, addirittura il procuratore Coci ebbe a dire che di rapporti investigativi sul fenomeno mafioso, sul suo tavolo, non ce ne erano mai stati.

Appena cinque anni prima di quel 1988 Cosa nostra aveva ucciso un magistrato, Ciaccio Montalto, e nel 1985 una bomba mafiosa destinata al pm Carlo Palermo, fece strazio di una mamma, Barbara Rizzo, e dei suoi gemellini, Salvatore e Giuseppe Asta. E a Palazzo di Giustizia dicevano di non saper nulla della mafia, nonostante anche un pm arrestato per essere stato corrotto dai mafiosi, il giudice Costa.

C’erano quasi riusciti a far passare l’omicidio per una vendetta personale, per corna o altro di simile, se non fosse stata per la caparbietà di un poliziotto, Giuseppe Linares, capo della Mobile negli anni di riapertura dell’indagine che in poco tempo, nel 2011 porterà al processo in Corte di Assise.

Linares oggi dirige il Servizio centrale anticrimine a Roma, promosso andrà presto a fare il questore di Catanzaro, eppure c’era chi ieri, come oggi, in città ne parla malvolentieri.

E già come si può sentir dir bene, da parte di certi “quaquaraqua”, di chi ha scoperto gli errori metodologici con i quali per decenni la mafia e la mafia delle imprese e della politica, sono rimasti al riparo da arresti e processi.

Quante cose sono accadute in questi 36 anni, quante cose Rostagno non ha potuto raccontare. Io non so, nessuno può saperlo, come avrebbe raccontato questa nostra Italia finita in mano ai leghisti che stanno accentuando dietro false promesse l’obiettivo di spaccare il Paese, e in mano ai nuovi fascisti, o gli scandali di Tangentopoli, le stragi del 1992 e quelle successive, gli arresti dei super latitanti. Ma li avrebbe raccontati alla gente, assieme alle piccole e grandi cose della città.

Raccontare. Fare informazione. Non gossip o fake news, o finte inchieste, inesistenti scoop.

A Trapani per mesi e mesi è stata nascosta la notizia della condanna del presidente degli industriali, che ha patteggiato per una morte sul lavoro, poi magari facciamo can can su una lapide al cimitero spostata su una fontana 60 anni addietro. A Trapani qualche manina ha servito una usb con dentro intercettazioni mai depositate in alcun fascicolo, tanti pronti a gridare all’inciucio e allo scandalo. Silenzio invece sui politici che vanno in giro a comprare voti, come racconta una indagine di questi giorni.

Il silenzio non apparteneva proprio a Mauro Rostagno, quindi se volete ricordarlo parlate e scrivete, ma non quando vi conviene oppure solo oggi, anche domani e sempre, raccontando la verità dei fatti.

Cerchiamo di essere esemplari, come lo fu Rostagno, con quella sua idea di rivoluzione sempre in testa, a Trapani dobbiamo fare la rivoluzione e magari lo diceva anche a chi intanto gli preparava la festa.

Ricordiamo Rostagno dando voce a chi non l’ha mai avuta, come lui ci ha insegnato a fare.

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