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La libertà rischia il bavaglio e il carcere

Rocco Artifoni il . Costituzione, Diritti, Giustizia, Informazione, Istituzioni, Memoria, Società

“Libertà va cercando, ch’è sì cara…” recita un famoso verso della Divina Commedia. Ma negli ultimi tempi tira una brutta aria per il valore della libertà, in particolare la libertà di informazione e di manifestazione.

Anzitutto il Consiglio dei ministri ha recentemente approvato una norma che impedisce la pubblicazione anche solo di estratti delle ordinanze di custodia cautelare. In altre parole se una persona viene arrestata gli organi di informazione non possono raccontare quali sono i motivi dell’arresto. Per paradosso il giornalista per descrivere le cause di una carcerazione potrà usare tutte le parole tranne quelle che il giudice ha usato nel suo atto di accusa. La conseguenza sarà un’informazione distorta, più opaca, parziale e meno realistica.

“L’informazione per essere libera deve essere anche chiara e completa. Non è un privilegio dei giornalisti, ma un diritto costituzionale dei cittadini”: ha scritto Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. In questo modo, “non solo si limita pesantemente la libertà di stampa, ma si infligge un colpo duro alla trasparenza e al controllo sull’operato della magistratura da parte dell’opinione pubblica. Con buona pace del giusto principio sulla presunzione di innocenza.”

Il sindacato dei giornalisti Usigrai ha così commentato il provvedimento: “Più che a tutela di un arrestato, questo nuovo decreto appare un regolamento di conti verso la libera informazione; contribuisce a far perdere all’Italia posizioni nelle classifiche sulla libertà di stampa e appare in totale contrasto con l’European Media Freedom Act che tutela al massimo la libertà di stampa come fa anche dall’articolo 21 della nostra Costituzione”.

Non c’è soltanto il Governo a minacciare la libertà. La Camera dei deputati ha approvato il cosiddetto decreto sicurezza. Ecco alcune conseguenze dovute a questo provvedimento: la protesta contro le grandi opere è punibile con il carcere, il blocco stradale e quindi gli scioperi diventano reato penale con condanna fino a 2 anni di carcere, le proteste anche passive in carcere o nei centri di permanenza degli stranieri possono essere punite fino a 20 anni di reclusione, la propaganda delle lotte è punibile fino a 6 anni essendo considerata terrorismo della parola, carcere fino a 7 anni per chi occupa una casa sfitta o solidarizza con le occupazioni, carcere immediato anche per le madri incinte o con figli di età inferiore a un anno, divieto di acquisto delle SIM telefoniche per gli immigrati senza permesso di soggiorno.

Loris Mazzetti, giornalista storico collaboratore di Enzo Biagi, ha dichiarato che questa norma trasformerà lo “stato di diritto” in “stato di polizia”.

L’Associazione Libera, presieduta da don Luigi Ciotti, ha così commentato: “Un disegno di legge che, al di là dei singoli provvedimenti, propone un inasprimento delle pene e la codificazione di nuovi reati con una sola finalità: restringere sempre più l’area dei diritti e dunque della civiltà. Una decisione politica indegna per un paese che vuole essere democratico e civile dove si mira a colpire il diritto dei cittadini a manifestare, criminalizzando il dissenso pacifico. Le leggi devono tutelare i diritti, non il potere. Devono promuovere la giustizia sociale, non le disuguaglianze e le discriminazioni. La politica esca dai tatticismi, dai giochi di potere, dalla logica del consenso e riduca le distanze sociali e si lasci guidare dai bisogni delle persone: una politica che ha tradito la Costituzione, i sogni e gli ideali di chi l’ha pensata e scritta e delle convenzioni internazionali. Lo diciamo con chiarezza: nessun decreto, nessuna norma può mettere il bavaglio ad espressioni di libertà, sacrosante in democrazia in un tempo in cui rischiamo di essere schiacciati dal cinismo e dall’indifferenza”.

Come ha detto Papa Giovanni Paolo II: “La libertà non consiste nel fare ciò che ci piace, ma nell’avere il diritto di fare ciò che dobbiamo.”

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