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La parresia di Giancarlo Siani. “E s’io al vero son timido amico…”

Giuseppe Fiorenza * il . Campania, Giovani, Informazione, Mafie, Memoria

Già al primo anno d’Università alla Federico II conobbi Marcello Gigante, grande studioso, eccelso papirologo: emanava un’aura  quasi sacra, che ispirava rispetto e addirittura venerazione. Seguii un suo corso interamente dedicato alla parresia.

E ora collegando parresia a Giancarlo Siani mi si apre un varco nella mente e nei miei ricordi, quasi ai confini della realtà, in una dimensione quasi misteriosa. E, diciamolo subito, senza indugi, Giancarlo è un esempio mirabile di parresiasta.

Naturalmente mi sono rituffato in tutti i suoi scritti, nelle centinaia di articoli per “il Mattino”, per l’“Osservatorio sulla camorra” di Amato Lamberti, per “Il Lavoro nel Sud” della CISL.

Ed ecco innanzitutto venirmi in mente e sulle labbra i meravigliosi versi di Dante nel XVII canto del Paradiso, nell’incontro con il suo Avo Cacciaguida (VV. 117-120): “E s’io al vero son timido amico temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico”. La più potente definizione dell’urgenza morale ed interiore di DIRE IL VERO, a cui non si può e non si deve sfuggire. Se no, come si fa di fronte a coloro che verranno dopo di noi? Sarebbe come se non si fosse esistiti. Ma come si fa, qui e ora ?

Tra libri grandi e piccoli che ho accatastato, prendo tra le mani quello di Erri De Luca, pubblicato nella collana “Prismi” del Mattino, intitolato “Il cronista scalzo”, dove aggiunge un tassello importante alla nostra ricerca (pg.9): “Giancarlo conosceva Torre Annunziata, che non è cognome e nome di una signorina ma comune vesuviano digradante sul golfo e degradato a mattatoio di mortammazzati per quasi niente”. “Negli anni ‘70 – continua – ci piacevano della Cina i medici scalzi che andavano nei villaggi a tentare la prevenzione delle malattie. Giancarlo era un giornalista scalzo, non aspettava le notizie per riportarle, ma cercava il meccanismo sanguinoso che le produceva.” Ed infine: “Era un giornalista perché non gli bastava la notizia, ma voleva frugare la verità”.

“Frugare la verità”, capite ?, ancora di più che dire il vero…

In verità sono personalmente convinto, come lo stesso fratello Paolo e tanti nostri amici, che Giancarlo, appassionato del suo mestiere, “prigioniero” dell’urgenza del suo dovere morale di raccontare cosa aveva capito o sospettato, non fosse consapevole del vero rischio che correva, in mezzo a quei lupi. Peccato che nessuno sia stato in grado di metterlo maggiormente in guardia e di aiutarlo nei momenti cruciali. Peccato che quella maledetta sera del 23 settembre 1985 nessuno poté incontrarlo subito per sentire cosa avesse da dire.

In quei giorni non era più a Torre Annunziata, ma ormai abbastanza stabilmente nella redazione napoletana del Mattino. La condanna però veniva da lontano, forse da molto lontano, nel tempo e nello spazio. E lui, innocente, armato dell’ amore per la verità, della parola che spiega, che narra, che svela, fu solo. Aveva già scritto da tempo le parole che lo avevano condannato e forse, con troppo ritardo, ha anche sottovalutato ed indugiato su timori e preoccupazioni che certo non erano le cose che gli interessavano di più.

Quando Paolo Siani andò dalla polizia per ritirare l’auto del fratello, dopo i controlli di rito, nel tratto di strada dalla Questura al Vomero, dove abitava con la famiglia, la Mehari di Giancarlo sobbalzò sui basoli sconnessi della pavimentazione stradale, facendo spalancare lo sportello del cruscotto e saltare fuori la sua agenda, dove alla lettera “M” si poté leggere “mensa bambini proletari” 349880 (senza nessun prefisso…)”.

Questo perché il giovane giornalista teneva d’occhio le esperienze sociali del territorio. Ed a Vico Cappuccinelle 13 resisteva, in varie forme (dalla mensa vera e propria, con l’amica norvegese Berit Frigaard, Lucia, Cinzia e Peppe ed i medici Roberto Landolfi, Luciano Carrino, Pietro Cerato, fino alla Cooperativa “Lo Cunto de Li Cunti”, con Giuditta Peliti al “Centro di Documentazione e ricerca anticamorra”, con Luciana Vecchio e Vittorio Dini, prima associazione poi aderente a Libera in Campania, dieci anni dopo) l’esperienza sociale-educativa avviata dal 1973, con 150 bambini col sostegno di tantissimi compagni, come Cesare Moreno e preziosi sostenitori come Elena Brambilla Pirelli e la famiglia di Hans Deichmann.

Sono ormai 39 anni che mi accompagno a Paolo, Carmen, Ludovica, Gianmario, e fino a qualche anno fa, anche ai vecchi cari genitori che non ci sono più. Nonno Mario mi volle incontrare e ringraziare.

Paolo, proprio di recente mi ha detto di essere convinto che la legge 39/85 fosse stata promulgata dopo la morte di Giancarlo. Ma non è così. Quella bellissima legge che ha promosso le iniziative di educazione alla legalità in tutte le scuole della Campania era venuta al culmine delle iniziative già avviate negli anni precedenti, degli incontri con gli studenti, dei seminari all’Università, degli scambi culturali nazionali ed europei. Sul modello dell’analoga e precedente legge della Regione Sicilia.

La formulammo insieme con Amato Lamberti e Isaia Sales, allora consigliere regionale del PCI, che la formalizzò e la portò all’approvazione dell’Aula il 6 maggio del 1985. LR 39/85: “Provvedimenti a favore delle scuole campane per contribuire allo sviluppo di una coscienza civile contro la criminalità camorristica”. Questo ci permise infatti di avviare le prime attività di memoria, studio, mobilitazione, insieme alla “Associazione Studenti napoletani contro la camorra”, da Antonio Parisi a Giacomo Barone a Claudio Pappaianni, a Francesco Borrelli, a Valeria Valente, Diego Belliazzi …E grazie a funzionari regionali colleghi, tra l’altro, proprio di Mario Siani, che nessuno ricorda, come Vincenti, Crisci, Balsamo, Lo Presti, Cerbone, Barbato…

Nel 1986 mi affiancai a Paolo e Carmen che promuovevano un premio per gli studenti. Li ricordo tenaci ma smarriti, affranti ancora dal pungente fresco dolore per la perdita ingiusta e terribile. Da allora sono anch’io della famiglia, mettendo al servizio di Giancarlo la mia esperienza organizzativa: le oltre trecento circolari mandate alle scuole, da responsabile del “Settore Legalità”, prima in Provveditorato e poi nella Direzione scolastica regionale, negli anni, per promuovere, affianco a tante altre iniziative di studio ed impegno, il “Premio Siani” che si svolge il 23 settembre di ogni anno, con la collaborazione di Comune di Napoli, Regione Campania, Fondazione Pol.i.s., Ordine dei Giornalisti, Sindacato Unitario dei Giornalisti Campani e naturalmente Il Mattino, a partire dai Direttori Zavoli e Graldi in poi fino a de Core, e Roberto Napoletano, oggi. Con una gratitudine antica a Gianpaolo Longo e Pietro Perone, per aver seguito tenacemente, giorno per giorno, tutte le fasi del processo, con una propria inchiesta giornalistica. Proprio a quel modo descritto di recente da Papa Francesco, “matita, taccuino, suole di scarpe consumate”.

È del 2015, il “Viaggio della Mehari”, con la Fondazione Pol.i.s. al Parlamento italiano ed a quello europeo, e quello realizzato pochi anni fa in giro per l’Emilia dove si svolgeva appunto il processo “Aemilia”. Poi la Mehari ha trovato casa al PAN, dove centinaia di visitatori e studenti ne apprendono la dolorosa ma entusiasmante storia. Intanto, con la ristrutturazione in corso, proprio quest’anno la Mehari viene ospitata nella splendida Villa Bruno, a San Giorgio a Cremano, grazie all’ammirevole passione del Sindaco Giorgio Zinno e del suo staff, ricevendola in consegna dal Sindaco Manfredi, dalla famiglia Siani e dalla Fondazione Pol.i.s. , oggi presieduta da Don Tonino Palmese e Segretario generale Enrico Tedesco, con la “Sala della Memoria” per tutte le vittime innocenti di criminalità, grazie anche al Coordinamento dei familiari, presieduto da Giuseppe Granata, dopo Alfredo Avella e Lorenzo Clemente.

Tutti gli articoli di Giancarlo sono squarci di verità sul mondo reale, con la sua scrittura limpida, diretta, senza fronzoli, come rapidi affreschi d’autore, disegnati battendo le dita sulla sua Olivetti Lexicon 80, poi esposta al museo delle macchine da scrivere a Milano. Pensate a: “Gli scafi blu diventano beige. In crisi il contrabbando di ‘bionde’”, “Una zattera per tutti”, sul progetto promosso da Carlo Petrella, tra mille difficoltà e resistenze. “Qui non si respira”…fumo in fonderia ma troppo costoso l’impianto di depurazione”. “Un alunno ‘si buca’ che fare ?”. “Camorra, le mani sulla città. Torre Annunziata è soffocata da violenza e droga”. Certo il titolista è bravo, ma pesca con successo nelle staffilate di Giancarlo. E ancora, a conforto dell’idea di una sua terribile attualità “Mentre è in aumento la delinquenza minorile, evasione scolastica: un triste record a Torre Annunziata”. “Dal contrabbando ai ‘nuovi traffici’”. “Il capo indiscusso, quello che secondo gli inquirenti tiene sotto controllo la zona ormai da circa dieci anni, è Gionta Valentino, latitante da diverso tempo. Pare controlli il mercato del pesce e della carne”. “Poche confische, boss potenti. 12 miliardi al giorno per i clan”.

E poi Giancarlo dà voce alla mobilitazione studentesca, “Hanno sfilato in settemila”. L’articolo del 10 giugno del 1985 è forse quello che colpisce più di tutti, ma segna, almeno in parte, anche il suo destino. “Gli equilibri del dopo-Gionta. Cosa cambia nella geografia del crimine con l’arresto del boss”…Dopo il 26 agosto del 1984 (la strage di Sant’Alessandro, che tanto aveva colpito Giancarlo) il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di “Nuova Famiglia”, i Bardellino. Il boss di Torre Annunziata aveva voluto “strafare”. “Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo da pagare proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana”.

Giancarlo scrive in modo diretto quel che vede e quel che sente, scrive la “verità” che intuisce. E quell’ultimo articolo del 22 settembre 1985, “Nonna manda il nipote a vendere eroina”. Li chiamano “Muschilli”, sono minori non imputabili. “Sono minorenni: anche se trovati con la bustina d’eroina in tasca non sono imputabili. Come del resto faceva quella madre a San Biagio dei Librai che si serviva dei tre figli per portare in strada l’eroina, fino a quando non è stata arrestata”.

Giancarlo svelava le cose più turpi con la leggerezza di dire il vero… Cito quest’articolo a ragion veduta! Mi sembra che in qualche modo getti una luce sul futuro, sul nostro stesso tempo ed indichi una eredità d’impegno da assolvere.

Quelle parole ci richiamano all’oggi, al clima di violenza imperante tra ragazzi, ammalati anche di anaffettività, e forse anche alle pratiche educative in ambienti deprivati. Scarpe di 400 euro e la disposizione financo ad uccidere chi le dovesse calpestare. Non più solo “Muschilli”, ma qualcosa di più.

Bisogna parlare per DIRE IL VERO.

Direbbe Raffaele Viviani: “E manco ‘e figlie lloro sapevano educà…dichiaramenti, appicceche; e sciure ‘e gioventù scurdate ‘int’ a nu carcere senza puté ascì cchiú”)

Aiuta molto a comprendere bene la storia di Giancarlo il bellissimo cortometraggio “Mehari”, di Gianfranco De Rosa, e “Fortapàsc”, il film capolavoro di Marco Risi, prodotto da Angelo Barbagallo, interpretato magistralmente da Libero Di Rienzo, “Picchio” per gli amici, entrambi fraternamente “cari agli Dei”.

Ma veniamo al punto cruciale. Dove ha colpito la parresia di Giancarlo perché fosse condannato a morte da poteri criminali?  Non mi ha mai convinto l’idea spesso avanzata che in fondo Giancarlo non avesse scoperto niente di grosso, che raccontava cose che tutti sapevano. E che lo abbia condannato  il fatto che lo comunicasse al grande pubblico dal giornale. E’ abbastanza vero, ma non del tutto.

Per capirlo bisogna leggere il libro di Armando  D’Alterio “La stampa addosso. Giancarlo Siani, la vera storia dell’inchiesta”, edito da Guida editori per Novanta-Venti La Repubblica.

E questo mi consente  anche finalmente di dire che la “parresia” è contagiosa!

Certo D’Alterio fa il suo mestiere di magistrato: s’interroga e interroga, indaga, scopre. Ma c’è qualcosa di più, cerca dove si nasconde il Vero da svelare e proclamare.

Il libro di Armando D’Alterio va letto con attenzione perché svela molto di più di una tenace inchiesta giudiziaria che fa luce sull’omicidio Siani dopo ben 12 anni. Il racconto dei contorni dell’inchiesta, dei viaggi in auto con i suoi fedelissimi, i loro colloqui franchi, tra pari, fino addirittura a qualche piccolo alterco, raccontano di più.

Prendete, ad esempio, nel capitolo “Rischi calcolati e strategie di recupero”…

“Il rischio che, a fronte dell’anti-Stato, costituito dalle mafie, si faccia strada la tentazione di fare giustizia, sfoderando opposte forzature. Coscienza e professionalità devono perciò spingere all’opposto, fino al pericolo di danneggiare l’efficienza delle indagini. Per aver agito con correttezza e trasparenza anche al di là degli obblighi formali”.

So benissimo che una tale disposizione fa parte del bagaglio deontologico della maggioranza dei magistrati, della cui amicizia di moltissimi di loro, a Napoli ed in Italia mi onoro. Ma la cosa, qui, la trovo spiegata bene e mi piace riportarla. Come quell’idea che, “di fronte ad una proficua catena di eventi l’importanza dell’azione del pm ‘a caldo’, “il sindaco Bertone, dice “abbiamo la stampa addosso” e lui: “la stampa addosso ai clan di Torre Annunziata era null’altro che Giancarlo Siani”.

Ecco poi il rischio che il processo salti in Corte d’Assise d’Appello, perché il giudice a cui viene assegnato andrà in pensione dopo poco più di un mese, E D’Alterio ci fa l’onore di citare me e Paolo, nello specifico episodio, per la nostra lettera al Capo dello Stato, Scalfaro, ai presidenti di Camera e Senato, Violante e Mancino ed al ministro della giustizia Flick. “il Mattino del 28.5.’98” : “Abbiamo sensibilizzato le massime Istituzioni, affinché un domani non si dica che bastava una telefonata, o un fax, per evitare scarcerazioni annunciate”.

Scrive nel suo libro, a pag 262: “Delitti prima colpiti dagli arresti, poi largamente sanzionati dalle sentenze di condanna. Assessori alle finanze, assessori all’edilizia scolastica ed alla pubblica istruzione, ai lavori pubblici, allo sport, consiglieri comunali, componenti di commissioni di gara d’appalto, capigruppo di partiti presenti nel consiglio comunale di Torre Annunziata, componenti dell’Avvocatura generale, della Segreteria e della Ragioneria Generale del Comune di Torre Annunziata, imprenditori di rango collusi, imprenditori prima estorti e poi collusi, costituivano un team operativo su base pluriennale, al quale Giancarlo non dava tregua, anticipando le acquisizioni giudiziarie raccolte nelle nostre successive indagini. Il sistema rendeva inadeguato persino il termine classico di “infiltrazione camorristica. Il crimine non doveva infiltrarsi in nulla perché si identificava con il tutto, governava in assoluto l’amministrazione, gli appalti, il controllo del voto espressamente pattuito per una quaterna di candidati al consiglio comunale, di fiducia del sindaco dell’epoca….”

Ed aggiunge: “Gabriele Donnarumma, collaboratore di giustizia, riferì che nella decisione dell’omicidio Siani era coinvolta “Cosa nostra” siciliana. Lui era sicuro che avesse premuto sui Nuvoletta, che gli indicavano come istigatore “Lo zio di Sicilia”. Anche se poi si indagò senza utili risultati. E però, la spinta della mafia vi fu, ed è probabile che rispondesse anche ad interessi strategici di livello nazionale.”

Certamente quel ragazzo un po’ prodigio, quel “giornalista giornalista” che scriveva le verità nascoste o notizie oscurate che scopriva, svelava, raccontava, informava, non poteva esserne pienamente consapevole, se non forse solo all’ultimo momento. Le sue non erano piccole inchieste in un territorio di provincia, ma lo svelamento di un vero e proprio sistema olistico di potere della mafia, destinato ad essere un modello di carattere generale. Quel pericolo andava stroncato ad ogni costo.

* Referente emerito di Libera, Fondazione Giancarlo Siani, Pres. AsCenDeR

Dal libro “Dire il vero. Napoli nel secondo novecento. Un’identità controversa”. A cura di Attilio Belli, Editore Guida, Napoli 2023). Estratto per Il Mattino, 23/09/2024

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