La giustizia secondo Delmastro: “Arrendetevi”
Per definire l’attacco sferrato da vari esponenti del Governo (in testa la premier Giorgia Meloni) contro i Pm di Palermo che hanno chiesto – al termine di una lunga e motivata requisitoria dibattimentale – la condanna dell’imputato Matteo Salvini, all’epoca dei fatti Ministro dell’interno, ho parlato – anche su questo giornale – di “squilibrio istituzionale”.
Per significare che l’ostilità manifestata da un membro dell’esecutivo (cui compete tra l’altro l’esercizio del potere disciplinare sui magistrati) verso un “semplice” giudice, nel bel mezzo dell’esercizio dei suoi compiti istituzionali, urta contro il principio democratico della separazione delle funzioni e comporta appunto uno squilibrio istituzionale.
In una intervista al “Corriere della sera”, alla domanda di che cosa pensasse delle parole “squilibrio istituzionale”, il Sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro ha risposto: “(Caselli) si arrenda”.
Non occorre scomodare Freud e la sua ”Psicopatologia della vita quotidiana” per cogliere in queste parole un brutto lapsus.
Nel senso che esse tradiscono un atteggiamento bellicistico nei confronti di chi la pensi diversamente: quasi si trattasse di un nemico da combattere e neutralizzare, e non di un interlocutore con cui confrontarsi e discutere. Portando acqua al mulino di coloro che teorizzano l’esistenza nell’attuale maggioranza governativa di una sindrome da accerchiamento e di un vittimismo che spingono a immaginarsi ogni giorno un nuovo complotto.
Si pone in ogni caso una serie di interrogativi ineludibili.
È giusto gettare pregiudizialmente fango su un magistrato sol perché, avendo indagato, chiede la condanna – per fatti specifici – di un personaggio pubblico? Quando si tratta di personaggi “di peso” (imputati – ripeto – per fatti specifici e non certo per il loro status), giustizia giusta è, per definizione, solo quella che assolve? Ragionando in questo modo, non si sovvertono le regole fondamentali della giustizia? Non si incide sulla serenità di giudizio?
Si tratta di rispondere a questi interrogativi nell’interesse della democrazia, senza chiedere a chi responsabilmente li pone di ”arrendersi”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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