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Autonomia differenziata delle Regioni: perplessità e interrogativi

Giovanni Maria Flick * il . Costituzione, Diritti, Istituzioni, L'analisi, Politica, referendum e costituzione

Aderendo cortesemente ad una nostra richiesta, il professor Giovanni Maria Flick, Presidente emerito della Corte costituzionale, ci ha inviato per la pubblicazione il testo della sua audizione del 10 aprile 2024 presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati sul disegno di legge AC 1665 recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata.

Nel mandarci il suo testo il professor Flick, che di recente è stato eletto Presidente del Comitato promotore del referendum sull’Autonomia differenziata, ha tenuto a sottolineare che le perplessità e gli interrogativi formulati nella sua audizione sono rimasti senza risposta e che le sue indicazioni non sono state accolte. 

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1. La riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 presentava criticità – che la Corte costituzionale ha cercato di risolvere con la sua attività interpretativa – sia per il metodo seguito, sia per il contesto, sia per il contenuto delle modifiche e delle riformulazioni di alcune disposizioni costituzionali. Veniva conclusa nella speranza che ciò fosse sufficiente a frenare aspirazioni separatiste presenti nella società e nella politica.

La riflessione sulle ulteriori autonomie da riconoscere ad altre Regioni rispetto a quelle a Statuto speciale – secondo il disegno di legge in discussione approvato dal Senato e in discussione alla Camera – dovrebbe essere portata a livello costituzionale e non essere devoluta alla legge ordinaria, che rischia di consolidare le criticità della riforma del 2001 nel tentativo di “attuarla”. La proposta sulle autonomie si fonda sui passaggi più discutibili della riforma del 2001. Tra essi vi è la possibilità di riconoscere con legge ai sensi dell’art. 116, 3° co. Cost. ulteriori funzioni alle Regioni che oggi non dispongono di particolare autonomia, senza variazioni finanziarie per le Regioni che non ricorrono alla differenziazione.

Secondo il disegno di legge non riguarderebbero i LEP le seguenti materie indicate dall’art. 116, 3° Costituzione: giustizia di pace; rapporti internazionali con UE delle Regioni e il commercio con l’estero; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; coordinamento delle finanze pubbliche e del sistema tributario; casse di risparmio rurali e aziende di credito a carattere regionale.  Il trasferimento di funzioni in relazione a queste materie può avvenire con l’entrata in vigore della legge.

È invece differito a un momento successivo (in teoria 24 mesi) il trasferimento delle altre funzioni che riguardano le materie per cui è necessaria la determinazione dei LEP, secondo l’elencazione contenuta nel terzo comma dell’art. 3 del disegno di legge, previa ulteriore individuazione dei costi standard e della spesa che inevitabilmente finirà per ricadere sulla spesa storica, consolidando diseguaglianze già ora macroscopiche.

Sono da approfondire gli effetti – non solo economico-finanziari sulle altre Regioni non coinvolte – di un trasferimento massiccio di funzioni negoziato da una Regione con lo Stato; in particolare sulle Regioni limitrofe e prossime, soprattutto con riferimento alle materie della legislazione concorrente di carattere trasversale (si pensi al governo del territorio o al trasporto e distribuzione nazionale dell’energia).

Basta pensare alla drammatica esperienza del Servizio Sanitario Nazionale, promosso con una prospettiva di eguaglianza e risoltosi in concreto in una situazione di emergenza drammatica (cfr. le liste di attesa; la mancata presa in carico dei malati “cronici”; la fuga verso la sanità privata). A conferma, si pensi alla promessa di assistenza sanitaria e sociale agli anziani non autosufficienti e disabili, con una legge delega emanata nel 2023 e tradotta in un decreto con risorse insufficienti per la sua attuazione. Si pensi soprattutto al “banco di prova” e al drammatico stress test della pandemia del Covid, con la molteplicità di contenzioso fra decisioni centrali e regionali contrastanti tra loro.

 

2. La prevalenza del principio di autonomia su quello di solidarietà rischia di consolidare la frattura già esistente nel paese e di esasperare la differenziazione dei livelli delle prestazioni sul territorio.

A ciò si affianca la delegittimazione del Parlamento, che è già in atto e si aggrava. Essa sembra agevolata dalle “liste bloccate”; dalla riduzione del numero dei parlamentari; dallo sbilanciamento dei rapporti fra Parlamento e Governo con l’abuso della decretazione d’urgenza e le questioni di fiducia. La proposta sulle autonomie inoltre – per devolvere maggiori poteri e funzioni alle Regioni – rafforza ulteriormente i poteri del Presidente del Consiglio in una sinergia politica e funzionale tra questa riforma attuata con legge ordinaria e quella costituzionale in corso di attuazione per il “premierato rinforzato”.

La somma fra esse – con evidente diminuzione dei poteri del Presidente della Repubblica e del suo ruolo di altissima mediazione – rischia di rompere l’equilibrio costituzionale tra poteri, in una commistione-confusione fra intervento costituzionale e legge ordinaria.

La legge in discussione alla Camera prevede per il Presidente del Consiglio il potere di avviare il negoziato con una Regione; di limitare l’oggetto a certe materie; di predisporre lo schema definitivo di intesa; di non conformarsi ad atti di indirizzo o a pareri delle Camere; di aggiornare i LEP e i costi con DPCM, bypassando le Commissioni parlamentari; di disporre la cessazione di intese.

Non è chiaro se si tratta di un regionalismo differenziato o di un “centralismo diffuso”, dal momento che la devoluzione appare più amministrativa che legislativa. L’entrata in vigore in “tempi differenziati” e la “attenzione” riconosciuta alle intese del 2018 e del 2019 con le tre Regioni del Nord alimenta la perplessità di fronte ad una “prospettiva separatista” verso la Padania, con il passaggio dal regionalismo differenziato e solidale a quello competitivo. Quest’ultimo deve confrontarsi con i principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza per le funzioni amministrative e con quello perequativo di solidarietà.

3. Un trasferimento di competenze che non si accompagni ad un discorso complesso e completo sulla autonomia finanziaria e fiscale delle Regioni – tuttora privo in gran parte di attuazione dopo la legge-delega del 2009 – è preoccupante anche in relazione alle esigenze degli enti locali e alle difficoltà di gestione dei territori provinciali, che nella proposta sulle autonomie non paiono essere sufficientemente considerate.

L’art. 119 della Costituzione e il c.d. “federalismo fiscale” si sono risolti nel corso degli anni in un intervento massiccio dello Stato centrale per assicurare risorse ai «territori con minore capacità fiscale» (con il fondo perequativo) e per «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (con risorse aggiuntive e interventi speciali).

I LEP – ossia i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale – non sono mai stati determinati per legge in maniera organica da parte del legislatore. La loro determinazione rientra nella competenza esclusiva dello Stato, come previsto dall’art. 117, 2° co., lett. m) Cost.

Alcuni livelli essenziali di prestazioni sono implicitamente determinati in leggi settoriali che assicurano taluni servizi al cittadino. Non basta elencarli: occorre garantirne l’effettività e le risorse su tutto il territorio nazionale. La loro determinazione astratta non significa che essi siano realizzati. La proposta sulle autonomie rischia di consolidare il ricorso allo strumento del D.P.C.M., che contribuisce allo sbilanciamento dei rapporti fra Governo e Parlamento.

Le dimissioni di alcuni fra i membri con maggior esperienza della Commissione che ha individuato ed elencato in termini generici le funzioni connesse a diritti civili e sociali; le perplessità dell’Ufficio di bilancio del Senato e quelle della Banca d’Italia sui costi di una simile operazione sono tutte conferme significative delle molteplici perplessità sollevate dal costo globale di questa “riforma epocale” e delle sue conseguenze.

4. Il disegno di legge già approvato al Senato si propone di definire «i principi generali» per l’attuazione dell’art. 116, 3° co. Costituzione, al fine di attribuire alle Regioni a statuto ordinario «ulteriori forme di autonomia»; e le relative «modalità procedurali» per l’approvazione delle intese.

L’art. 116, 3° co. Costituzione individua fra le materie per cui è possibile in generale procedere al trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni le seguenti: tutte quelle a legislazione concorrente; l’organizzazione della giustizia di pace; le norme generali sull’istruzione; la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

La prima criticità si coglie nell’iter previsto all’art. 2 del disegno di legge in discussione. Esso conferisce rilievo preminente al Governo e al Presidente del Consiglio dei Ministri: quest’ultimo può discostarsi dai rilievi formulati dalle Camere sullo schema di intesa preliminare e portare avanti il procedimento d’approvazione. Una volta predisposta l’intesa definitiva, essa è allegata ad uno schema di disegno di legge che – se approvato – è trasmesso alle Camere per la «deliberazione».

Il ruolo del Parlamento appare sminuito e la disciplina sembra porsi in contrasto con l’art. 116, 3° Costituzione. Quest’ultimo non prevede che le Camere debbano «deliberare» l’intesa già negoziata dal Governo (così invece il co. 8 dell’art. 2 del detto disegno di legge: «Il disegno di legge di cui al comma 6, cui è allegata l’intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione»). Prevede che la legge dello Stato possa attribuire ulteriori forme di autonomie «sulla base di intesa fra Stato e Regione».

Il parametro costituzionale sembra rispettato solo se alle Camere è consentito di sindacare il merito del trasferimento di funzioni (non limitandole all’alternativa fra un sì e un no). Il termine “intesa” è richiamato in un contesto lontano da quello dell’articolo 8, 3° comma, della Costituzione che si riferisce ai rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica.

La seconda criticità emerge dalla lettura dell’art. 11 del disegno di legge. La sua formulazione ambigua solleva dubbi sull’implicita intenzione di voler “ratificare le intese” già precedentemente negoziate con tre Regioni. La disposizione non utilizza il termine «intese», ma usa l’espressione «atti di iniziativa delle Regioni già presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la Regione interessata».

Le intese, infatti, sono disciplinate specificamente nello stesso disegno di legge. Perciò anche gli accordi già negoziati dovranno seguire l’iter disciplinato dall’art. 2 – al più saltando i passaggi preliminari, essendo già avvenuta la negoziazione – in quanto non possono produrre effetti senza la specifica valutazione delle Camere, preliminare all’adozione della legge di cui all’art. 116, 3° co. Costituzione.

5. Un’ulteriore criticità attiene alla distinzione fra funzioni che riguardano i LEP e le altre funzioni, perché non è esplicitato il criterio di distinzione.

Il trasferimento riferibile ai LEP – che sono aggiornati con D.P.C.M. – può avvenire solo dopo la determinazione di questi ultimi e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse disponibili a legge di bilancio. Se i LEP comportano maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il trasferimento avviene solo successivamente all’entrata in vigore di provvedimenti di stanziamento delle risorse finanziarie (come ad esempio una nuova legge di bilancio).

Ma anche il trasferimento delle funzioni relativo a materie “non LEP” presuppone e deve seguire in ogni caso l’iter previsto dal disegno di legge. Può avvenire da subito qualora il disegno di legge si trasformi in legge, ma «nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente». Ossia nuovamente nei limiti della legge di bilancio, con tutti gli interrogativi che conseguono per il costo dell’operazione e degli accantonamenti necessari per essa, evitando che la sua invarianza finanziaria si risolva in una quadratura del cerchio.

La distinzione appare perciò solo nominale. È sempre necessario individuare la copertura finanziaria globale – di volta in volta – per procedere al trasferimento di funzioni; e valutare se il detto trasferimento di funzioni comporti oneri a carico dello Stato o oneri sostenibili a carico della Regione interessata. Non è chiaro quali saranno le risorse che dovranno contribuire al sostentamento delle iniziative di trasferimento e al loro mantenimento nel tempo.

La disciplina dell’autonomia differenziata rischia di risolversi in un’illusione che non tiene conto dei vincoli di finanza pubblica; della sostenibilità economica-finanziaria; dei problemi dell’autonomia fiscale regionale. V’è da augurarsi che questi dubbi vengano superati nella ulteriore e necessaria elaborazione ella legge in esame, anche per evitare ostacoli e complesse controversie interpretative nell’applicazione di essa una volta emanata.

* Presidente emerito della Corte costituzionale

Fonte: Questione Giustizia

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Bibliografia essenziale

Azzariti G., Appunto per l’audizione innanzi alla I Commissione – Affari Costituzionali della Camera dei Deputati del 20 marzo 2024 sul disegno di legge n. 1665 (attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. 

Chieffi L., Testo audizione svolta il 4 marzo 2024 presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame, in referente, del disegno di legge C. 1665 Governo, approvato dal Senato, recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”. 

Colaianni N., Autonomia differenziata: ovvero privilegiata, in Quest. Giust., 20.03-2024.

Gallo F., Costituzione, federalismo fiscale e autonomia differenziata (in corso di pubblicazione).

Pisauro G., L’autonomia differenziata e i limiti della riforma del Titolo V, in Diritto pubblico, 2/2023, pp. 565-580. 

Silvestri G., Note critiche in tema di regionalismo differenziato (marzo 2024, in corso di pubblicazione).

Staiano S., Nota per la Commissione Affari costituzionali della Camera Audizione del 12 marzo 2024.

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