Sangiuliano-Boccia, perché credo che questa faccenda sia una benedizione per il governo
“Oggi noi rivendichiamo il suo alto senso delle Istituzioni”. Con queste parole commosse la presidente della Commissione parlamentare antimafia, on. Chiara Colosimo di Fratelli d’Italia e meloniana di ferro, ricordava in un post su Instagram il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato da Cosa Nostra il 3 settembre 1982 a Palermo insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo.
Ma quanto stride questo richiamo altisonante al “senso dello Stato” del generale Dalla Chiesa nei giorni del reality Sangiuliano-Boccia? Stride così tanto che viene un sospetto: non è che questa faccenda un po’ B-movie, un po’ spy-story-social-telling, è in realtà una benedizione, (forse) inattesa, per il governo Meloni? Una operazione di distrazione di massa resa possibile dal controllo quasi (!) totale dei mass media?
Che di un qualche poderoso “fuoco d’artificio” il governo avesse bisogno l’ho pensato da quando il fido Sallusti ha sapientemente inoculato nella sudata opinione pubblica italiana il virus del “complotto” contro la sorella Arianna della premier Meloni.
Un complotto che sarebbe stato ordito da settori della magistratura in combutta con sinistri di varia provenienza che, sulla scorta di quanto vanamente tentato per vent’anni contro il nume tutelare Berlusconi, avrebbero cercato di trascinarla sul banco degli imputati addebitandole fantomatici traffici illeciti di influenze, aventi ad oggetto nomine e potere. Tuonò assai, ma nemmeno una goccia d’acqua: piovve soltanto l’indignazione preoccupata ancora una volta puntualmente manifestata dall’Anm (l’Associazione nazionale magistrati) per bocca del suo presidente Giuseppe Santalucia, che ha denunciato l’ennesimo tentativo di delegittimare in toto la magistratura.
Sgonfiato il complotto, forse qualche speranza si è riaccesa nel governo grazie al rinfocolarsi di un’altra vicenda che tanto promette in termini di “punti-simpatia”, ovvero quella sui presunti “dossieraggi” orchestrati da servitori infedeli dello Stato, questa volta in combutta con pezzi di giornalismo sinistro (“sinistro” per orientamento politico ma soprattutto per carica sovversiva): alludo all’inchiesta iniziata dalla Procura di Roma e poi trasferita a quella di Perugia, che vede indagati un magistrato al tempo dei fatti in forza alla Procura nazionale antimafia e un ufficiale della Guardia di Finanza, anch’egli per metà alla Pna e per metà applicato al suo Corpo di appartenenza, che avrebbero raccolto informazioni riservate poi passate, tra gli altri, alla redazione di Domani. Una vicenda innescata dal ministro Crosetto che denunciò prontamente quello che gli dovette apparire come un attacco insopportabile e cioè che dei giornalisti scrivessero cose vere e di interesse pubblico sul suo conto e soprattutto sui suoi conti.
In attesa che il gip di Perugia si pronunci sull’opposizione fatta dalla Procura al diniego di misure cautelari per gli indagati, in Commissione parlamentare antimafia è arrivata una nuova “carrettata” di documenti legati all’inchiesta, tutti riservati, naturalmente.
E perché mai infine il governo Meloni, tutto “Senso-dello Stato”, avrebbe così disperatamente bisogno di una salva di fuochi d’artificio?
Forse perché siamo sull’orlo della guerra totale e nessuno pare sapere più cosa fare, anche tra i meglio intenzionati, per interrompere il precipitarsi degli eventi – e se oggi il democratico Guerini aggiunge la sua autorevole voce a quella di quanti sostengono che gli ucraini debbano poter colpire in Russia, soltanto qualche giorno fa il ministro Crosetto lamentava i ritardi agostani dell’industria bellica italiana nel fornire le armi necessarie?
Forse perché i conti pubblici sono in rosso, la legge di bilancio pretende la giusta attenzione e difficilmente per tutti i grandi elettori della destra al governo si potrà procedere con la compiacenza adoperata nei confronti dei soliti balneari?
Sia come sia, suggerirei (da ex consulente della Commissione antimafia) alla presidente Colosimo di maneggiare con maggior consapevolezza la delicatissima materia dell’“alto senso dello Stato”, per non trovarsi poi nell’imbarazzante situazione di chi con una mano regge la memoria grande di Borsellino e Dalla Chiesa e con l’altra la figura ingombrante di Sangiuliano. Il destino a medio termine del ministro innamorato ci dirà quanto questo mio sospetto si sia avvicinato alla realtà oppure no.
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