Ognuno faccia la sua parte, nel ricordo di Carlo Alberto, Emanuela e Domenico
Buonasera a tutte e tutti. Grazie innanzitutto per essere qui ancor una volta a ricordare i nostri cari Carlo Alberto, Emanuela e Domenico, 42 anni dopo il loro sacrificio. Mi scuso se leggo questo mio intervento, ma desidero essere sicuro di non dimenticare nulla di ciò che mi sta a cuore e di evitare accuratamente parole di stanca e sterile retorica.
Ebbene, innanzitutto desidero ricordare che Carlo Alberto dalla Chiesa fu orgogliosamente antifascista e che, dopo l’8 settembre 1943, combattè nella Resistenza, inquadrato nella Brigata Patrioti Piceni sotto il comando di Spartaco Perini. Quei Patrioti, non altri. Lo testimoniano gli annali dell’Arma, del Coordinamento Resistenza Centro-Sud e soprattutto la cittadinanza onoraria che la città e la popolazione di San Benedetto del Tronto vollero offrirgli per ringraziarlo, onorandolo così per i servizi da lui prestati nella loro difesa.
E poiché lo spirito della Resistenza affonda le sue radici nei principi di solidarietà e fratellanza, di uguaglianza e dignità individuale e collettiva, voglio ricordare che la sua visione della Patria, come più volte ebbe occasione di ricordare, si identificava con quello di una comunità solidale, semplice, operosa, accogliente, libera e democratica. Ben diversa da quella di Nazione, escludente, identitaria, intollerante, rigidamente attenta a segnare confini ideologici e materiali che negano l’altrui dignità e diritto all’esistenza. Questa ideologia funesta è alla base delle disastrose guerre che si svolgono ai nostri confini, ne è il presupposto e nutre gli animi dei contendenti.
Carlo Alberto dalla Chiesa aveva come stella polare del suo operato la Costituzione Italiana, che non ha bisogno di autodefinirsi antifascista, poiché raffigura una visione della società e delle sue regole che nasce dal rifiuto dell’esperienza fascista, per averla vissuta, e ne rigetta sistematicamente l’ideologia, la filosofia e la pratica di sopraffazione violenta. La nostra Costituzione è intrinsecamente antifascista, e forse per questo viene aggredita.
Carlo Alberto svolgeva i suoi compiti con orgoglio e spirito di servizio. L’orgoglio di essere stato scelto per merito e non per raccomandazione, e la consapevolezza di dover svolgere al meglio delle sue possibilità ciò che gli veniva richiesto, poiché come servitore della comunità ad essa rispondeva prima ancora che a chi gli aveva affidato l’incarico.
È questo spirito di servizio che tanto si è affievolito nelle attività della pubblica amministrazione, in tutte le sue declinazioni, vissute ormai troppo spesso senza dignità, come sinecura. Ciascuna funzione pubblica è fatta di uomini e donne dalla cui consapevolezza, responsabilità e generosità dipende la qualità del loro operato e della vita comunitaria.
Fa male vedere che i pubblici uffici sono ormai sistematicamente presidiati da personale armato posto a loro difesa, per allontanare ed intimidire anziché accogliere i cittadini che vi si rivolgono in nome dei loro diritti. È certamente vero che la dignità del lavoro si basa su retribuzioni dignitose, ma assistiamo ad un triste svilimento dei ruoli che è innanzitutto declino morale. L’egoismo del quieto vivere e dell’indifferenza stanno prendendo il sopravvento sul benessere comune.
Carlo Alberto dalla Chiesa godeva di prestigio e reputazione, che si era guadagnato con la sua vita specchiata. Prestigio e reputazione che sono stati cinicamente usati come foglia di fico da una politica imbelle, incapace di assumersi le proprie responsabilità nei confronti degli elettori, che le avevano delegato responsabilità e potere nella gestione del bene pubblico.
Siamo ormai troppo spesso spettatori dell’ignavia dei politici e della loro incapacità ad anteporre il valore del pubblico interesse a quello di partito, di conventicola, o personale. Troppo spesso la preziosissima e sacra delega ricevuta è divenuta un lasciapassare verso la corruzione, praticata per dipiù con la pretesa d’immunità.
Carlo Alberto dalla Chiesa ha saputo svolgere i compiti affidatigli con coerenza e con la consapevolezza dei rischi assunti, che mai scivolò nell’avventatezza, né per se né per i suoi collaboratori.
Seppe agire con coraggio e generosità ben oltre i suoi doveri istituzionali, da taciturno e cocciuto piemontese, cosciente che l’evolvere degli eventi avrebbe potuto significare il sacrificio della sua vita. Affrontare con coraggio le difficoltà, senza volgere altrove il capo, bensì rafforzando le proprie convinzioni e determinazione al crescere del rischio è caratteristica propria degli eroi. Egli fu protagonista, non testimone indifferente, della sua lotta.
Non ci sorprende quindi che Emanuela, che condivideva con Carlo Alberto visioni, interessi, ideali e principi, si sia innamorata di quest’uomo e che abbia allietato i difficili giorni palermitani con la sua fresca e giovanile presenza al suo fianco, e che al suo fianco sia morta.
Eccoci allora alla conclusione: tra poche settimane la più grande democrazia occidentale, certamente imperfetta, ma pur sempre migliore delle sempre più numerose autocrazie, eleggerà la sua guida futura. Ma soprattutto dovrà disegnare il suo futuro che oscilla tra l’egoismo dell’autocrate narcisista e prevaricatore ed un sogno di maggiore giustizia ed equità diffusa.
Un messaggio chiaro e drammatico ne emerge: do something, che ognuno faccia qualcosa, che ognuno faccia la sua parte in questa scelta. Per se stesso, per i suoi figli, per il futuro comune, per il benessere della comunità.
Questo messaggio non è per nulla diverso da quello che Giovanni Falcone ci trasmise anni addietro: questo paese ha bisogno che ognuno faccia la sua parte, che ogni persona, nonostante la stanchezza e la delusione, faccia la sua parte, perché ognuno di noi può fare qualcosa per migliorare la qualità della vita e del bene comune, perché l’esempio è il miglior insegnamento possibile che possiamo dare ai giovani.
Grazie.
* Testo dell’intervento reso in occasione dell’iniziativa “La forza del sacrificio. Il dovere della memoria”
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