«Al Beccaria arrivano i ragazzi più poveri di Milano e hanno bisogno di ascolto»
Dopo la rivolta del 31 agosto il cappellano emerito dell’Istituto ricorda come la maggior parte dei giovani provenga da situazioni di estrema fragilità e povertà, anche educativa.
Sabato 31 agosto al Beccaria, l’istituto penale minorile di Milano, è avvenuta l’ennesima rivolta dei detenuti. Oltre a un principio di incendio, quattro detenuti sarebbero evasi, per poi essere recuperati.
La vicenda è avvenuta a poco più di dieci giorni dall’ultimo caso, quando martedì 20 agosto il sindacato autonomo della polizia penitenziaria aveva segnalato un’altra protesta. Allora un gruppo di detenuti avrebbe dato fuoco a un materasso, per poi colpire degli agenti.
Le indagini della Procura
La vicenda è solo l’ultimo degli episodi avvenuti nel corso dell’anno in via dei Calchi Taeggi. All’inizio del 2024, da un’inchiesta della Procura di Milano erano emersi casi di presunti maltrattamenti dei giovani detenuti da parte degli agenti. Lo scorso aprile l’indagine portò all’applicazione di misure cautelari nei confronti di tredici agenti e la sospensione di altri otto.
Oltre al caso giudiziario, il 6 e il 29 maggio scorso al Beccaria sono scoppiate altre due rivolte, a cui ha fatto seguito il 14 giugno l’evasione di due detenuti. Il secondo caso negli ultimi due anni: il 25 dicembre 2022, altri sette detenuti erano scappati dall’Istituto.
In seguito a queste vicende, lo scorso luglio erano avvenuti alcuni cambiamenti all’interno del Beccaria: il numero dei ragazzi detenuti nella struttura era diminuito, senza che fossero previsti nuovi ingressi. Domenica 30 giugno il direttore Claudio Ferrari aveva affermato che dall’8 luglio sarebbero entrati in servizio stabile 44 nuovi agenti, disposti lo scorso maggio dal Dipartimento per la Giustizia minorile.
Tuttavia, secondo i dati più recenti del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, e aggiornati al 15 agosto, al Beccaria erano presenti 60 detenuti. Ad aprile, quando è stata resa nota la notizia delle indagini sugli agenti, il numero dei detenuti era di 81.
Rigoldi: «Agenti troppo giovani»
Don Gino Rigoldi, cappellano emerito dell’Istituto – che già la scorsa settimana aveva firmato sul quotidiano Avvenire una lettera di appello sul tema assieme all’attuale cappellano don Claudio Burgio – racconta come al Beccaria siano presenti numerosi problemi. In un’Istituto che, secondo il sacerdote, necessiterebbe prima di tutto di ulteriori ristrutturazioni, si affrontano le difficoltà di operare con una popolazione carceraria troppo numerosa. Senza contare le condizioni di estrema fragilità in cui si presentano. «Qui arrivano i ragazzi più destrutturati, poveri e arrabbiati in giro per Milano – spiega don Rigoldi -. Che avrebbero soprattutto bisogno di essere ascoltati. Mi è capitato di osservare come purtroppo, anche da alcuni operatori, alcuni ragazzi siano diventati solamente un nome, un cognome, un reato e un problema. Difficilmente si cerca di comprendere invece come sta, come ci si sente, come vivono e di cosa avrebbero bisogno».
La complessità di dover gestire sessanta persone è poi acuita dall’età anagrafica dei nuovi agenti di polizia penitenziaria. Rigoldi afferma che la maggior parte del personale che ha già cominciato a prestare servizio proviene direttamente dalla scuola di formazione. «Se gli agenti hanno 23 anni, potete immaginare come sia difficile presentarsi come figure autorevoli nei confronti di detenuti, che sono quasi coetanei. Quando cominciai a lavorare al Beccaria, i responsabili erano persone di 50 anni, con una esperienza tale da diventare anche una sorta di figura paterna».
Istruzione e avviamento al lavoro
A questi problemi si aggiungono quelli dell’istruzione dei detenuti. Don Rigoldi afferma come diversi di loro siano di fatto analfabeti, e che superare questa condizione sia imprescindibile da ogni percorso di riabilitazione. Senza questi sostegni, secondo il cappellano emerito, è come lasciare le persone in una condizione di disabilità, che non gli permette di vivere appieno la vita. «Cerchiamo di avviare i ragazzi al lavoro, anche per offrire loro la possibilità di una piccola remunerazione, che permetta loro di ricominciare. Il Comune di Milano e il Prefetto hanno dato alcune disponibilità in merito, in particolare con alcuni teatri e aziende. Con alcuni datori di lavoro inoltre abbiamo costruito percorsi che permettano di “reclutare” alcuni dei miei ragazzi. Questo potrebbe valere anche per il Beccaria».
Anche se questi obiettivi fossero raggiunti, per questi ragazzi si aprirebbero le sfide che già una fetta della popolazione di Milano affronta nella quotidianità. Oggi un appartamento costa quasi il 40% in più rispetto al 2015, e molte persone sono costrette a trovare casa altrove, anche fuori città. «I ragazzi andrebbero anche di corsa in un alloggio dell’Aler, anche se sappiamo benissimo che non sia il massimo. Esperimenti di alloggi per l’autonomia esistono, ma sono ancora troppo pochi. Il mio progetto sarebbe di ricreare quanto realizzato in Francia e Spagna, dove ci sono piccole comunità tra le quindici e le venti persone, tutte maggiorenni, di lavoratori, giovani studenti e ragazzi usciti dalle comunità, in modo tale che si crei un mix dal grande potenziale. Ma tutto questo, senza costruire nuove case, è complicato».
* Chiesa di Milano. Il portale della Diocesi Ambrosiana
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