Coraggio: rivoltate il calzino delle indagini su via D’Amelio
Luigi Li Gotti ha recentemente sollevato qui domande lucidissime su cosa accadde in via D’Amelio. E lo stillicidio che dura ancora oggi. Naturalmente certi esperti a gettone dell’argomento si tengono alla larga, non sia mai che una certa antimafia si veda rompere le uova nel paniere.
Eppur bisogna mettersi d’accordo sul perché della strage di via D’Amelio. Ma non è facile, visto che nella ricerca della verità, a 32 anni di distanza dall’uccisione di Paolo Borsellino, prevalgono tesi aprioristiche e pretese ataviche di regolamenti di conti fra diversi soggetti della lotta alla mafia, ipocrisie di sistema, un sistema che preme per soluzioni definitive e consolatorie che chiudano per sempre con quegli interrogativi che non smettono di riproporsi all’opinione pubblica, quanto meno alla sua parte più sensibile.
Si è condotta in questi anni, e perdura ancora oggi, una campagna feroce contro quel processo che individuava nella trattativa fra lo Stato e la Mafia la causa dell’eccidio del 19 luglio 1992.
Tutti sanno di che parliamo e chi ha guidato in questi anni il coro di sistema. E ora? E ora, ce lo si lasci dire, siamo alla casella di partenza. Ci sono, pero’, due grandi novità.
La prima è data dal fatto che la nuova commissione parlamentare antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, voluta da Giorgia Meloni, ha mobilitato interamente le sue risorse nella ricerca della verità solo su via D’Amelio. Scelta opinabile, visto che le stragi in Italia, hanno costituito un modo disinvolto di “fare politica” che data – a volersi tenere bassi – dalla strage di Portella della Ginestra.
Ma cosa fatta capo ha.
Né l’opposizione sembra in grado di sollevare una questione, alternativa alla visione monoculare della commissione.
La seconda grande novità è che la commissione parlamentare sembra ormai muoversi in perfetta sintonia con un’intera Procura, quella di Caltanissetta.
E a fare da cinghia di trasmissione fra le due, c’è una parte della famiglia Borsellino. Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo, se ne è infatti distaccato platealmente. E dolorosamente.
Ognuno è libero di pensarla come vuole.
Un giornale, a proposito delle indagini di Caltanissetta, si è spinto a dire che quella procura sta esplorando territori che nessuno sino a oggi aveva avuto il coraggio di esplorare.
Il riferimento è ai nomi di Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli, magistrati oggi in pensione, finiti sotto inchiesta, che furono protagonisti quarant’anni fa di vicende che vengono riesumate in queste ore. O al coinvolgimento dell’ex questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, nella scandalosa vicenda dell’Agenda rossa mai ritrovata.
Noi abbiamo conosciuto abbastanza sia Natoli, sia Pignatone, sia La Barbera. Ma ci guardiamo bene dall’avventurarci in giudizi a posteriori su materie che, all’epoca dei fatti, non erano di dominio pubblico. Saranno la Procura di Caltanissetta e la commissione antimafia, a dirci.
Chi uccise Paolo Borsellino, perché, e dove si trova l’Agenda rossa. Nessuno può sottrarsi all onere della prova.
Fonte: AntimafiaDuemila
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