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Non lasciamo sole le toghe che salvano i figli delle mafie

Gian Carlo Caselli il . Diritti, Giovani, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Sicilia

Claudia Caramanna, Procuratrice capo per i minorenni di Catania, è da tempo impegnata in una delicata e difficile opera, quella di tutelare i bambini di mafiosi e/o trafficanti di droga anche chiedendo al tribunale – se necessario – l’allontanamento dalle famiglie di origine.

Per questo ha ricevuto pesanti minacce, da ultimo contenute in una lettera recante l’abbietto e criminale “invito” a smetterla di occuparsi dei figli degli altri.

Ecco un chiaro esempio di magistratura virtuosa da riconoscere e valorizzare, tanto più nell’attuale contesto di frequente creazione di casi mediatici allo scopo di alzare la palla ai corvi della peggior politica e informazione.

In generale è la magistratura italiana nel suo complesso che cerca di assicurare una concreta alternativa di vita sia ai soggetti minorenni provenienti da famiglie inserite in contesti di criminalità organizzata o che siano vittime della violenza mafiosa, sia ai familiari che si dissociano dalle logiche criminali.

Ciò in virtù di un protocollo d’intesa noto come “Liberi di scegliere”, già stipulato nel 2019 e in data 26 marzo 2024 rinnovato e ampliato aggiungendo agli uffici giudiziari del distretto di Reggio Calabria e Catania quelli della Corte d’appello di Napoli e Palermo.

Il protocollo è sottoscritto da ben sei ministeri – a partire da quelli della Giustizia e dell’Interno – e inoltre dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, dalla Conferenza episcopale italiana e da alcune associazioni (Libera, Fonte Ismaele, Centro Elis, Cometa, Comunità San Gennaro e Salesiani per il sociale).

Come proprio fondamento il protocollo richiama vari documenti internazionali, espressione delle più qualificate istanze europee e mondiali, che costituiscono un quadro di riferimento entro cui si collocano come elementi essenziali l’educazione alla cittadinanza e alla legalità e i valori sedimentati nella storia della umanità.

Decisivo fondamento sono anche gli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana, che garantiscono il rispetto della dignità umana, richiedono l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale da parte dei cittadini e proclamano il compito della Repubblica di favorire il pieno sviluppo della persona umana.

Concreta e articolata è la motivazione di “Liberi di scegliere”. Essa muove dalla considerazione che nei contesti di tipo mafioso la famiglia assume un ruolo condizionante la struttura psichica dei suoi componenti, specie se minori, determinando quei meccanismi di svincolo morale che sostanziano la dimensione criminologica delle organizzazioni.

Per cui occorre assicurare una concreta alternativa di vita ai soggetti minorenni di tali famiglie e ai loro congiunti che dimostrino di rifiutare le logiche criminali, aspirando a una nuova vita conforme ai principi costituzionali e della civile convivenza, anche senza assumere lo status di collaboratori o testimoni di giustizia.

Vengono pertanto individuati percorsi educativi mirati alla rimozione di un modus vivendi criminale insito per vocazione generazionale nelle famiglie mafiose, prevedendo anche la necessità di temporaneo allontanamento. Con un adeguato accompagnamento del minorenne e dei familiari coinvolti, allontanati o meno dal territorio di provenienza, garantendo loro uno specifico supporto psicologico e adeguati sostegni educativi sociali ed economici.

È per tutti questi motivi che possiamo orgogliosamente rivendicare come il nostro Paese abbia sì gravi problemi di mafia, ma sia anche il Paese dell’antimafia: non solo per le comprovate capacità investigativo-giudiziarie, ma anche – appunto – per l’attenzione e la sensibilità verso i problemi sociali come nel caso di “Liberi di scegliere” e nel caso del reimpiego a fini socialmente utili dei beni confiscati ai mafiosi.

I protagonisti dell’antimafia meritano quindi giusta considerazione. Non dico che debbano essere pensati come perennemente avvolti nel tricolore (sarebbe ridicolo), ma certo meritano più rispetto di quello che da qualche tempo e sempre più di frequente riserva loro un cospicuo numero di commentatori, prigionieri di un abisso di mancanza di obiettivo realismo se non di malafede.

E ciò tutte le volte che le inchieste riguardano non soltanto i “malacarne” ma anche le complicità esterne con enti e soggetti apparentemente legali, complicità che vengono sbrigativamente liquidate come teoremi, allo scopo di negarle o esorcizzarle, realizzando così – invece di una giustizia giusta uguale per tutti – una giustizia asimmetrica a protezione degli interessi forti che rifiutano il controllo di legalità.

Una vera iattura per la qualità della nostra democrazia.

Fonte: La Stampa

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