Angelucci campione di assenteismo in Aula: perché farsi eleggere per poi sparire?
Perché farsi eleggere in Parlamento per poi totalizzare quasi il 100% di assenze alle sedute d’Aula?
Secondo le statistiche parlamentari recentemente riprese da diverse testate giornalistiche, i tre peggiori sono Umberto Bossi, Antonio Angelucci e Marta Fascina, ma mentre per Bossi e Fascina l’onorevole scranno rappresenta evidentemente una rendita di posizione per meriti acquisiti sul campo, per il leghista (già Forza Italia) Angelucci la faccenda appare più interessante, anche perché, stando ininterrottamente in Parlamento dal 2008, non è la prima volta che sale sul “podio” dei peggiori (per presenze, si intende).
Antonio Angelucci è uno di quegli imprenditori che fa del rischio l’essenza del proprio intraprendere, incarnando l’intramontabile mito dell’uomo-che-si-è-fatto-da-sé partendo da niente (anche se non risulta agli atti che abbia mai intrattenuto qualcuno cantando sulle navi da crociera).
L’Onorevole Angelucci, navigando piuttosto attraverso scandali e inchieste giudiziarie, da “re” delle cliniche private balza nel campo della politica e in quello dell’editoria, riuscendo in pochi anni ad acquisire diverse testate, ma è stato senz’altro l’ultimo progetto a riportare Angelucci sotto i riflettori: quello di acquisire da Eni l’Agi, seconda agenzia di stampa italiana per importanza.
In tanti, dentro e fuori Agi, hanno sollevato più di una perplessità sulla liceità di una simile operazione da parte di un parlamentare così legato al Governo.
Possibile digerire anche questo, quando restano irrisolte questioni italiche fondamentali quali la inopportunità delle concentrazioni editoriali, il conflitto tra interessi privati e interessi pubblici, la confusione tra potere politico e potere mediatico (veleno mortale per la democrazia)?
Questioni, particolari (le scalate di Angelucci) e generali, tanto più inquietanti se inserite nel quadro di insieme di una Italia governata dagli eredi-al-quadrato (del Duce e di Berlusconi) che, a detta di diversi studi internazionali istituzionali e non, sta scivolando in fondo alle classifiche della libertà di stampa. Un quadro nel quale vengono denunciati i ripetuti tentativi di individuare le fonti dei giornalisti, anche attraverso l’atteso esercizio dell’azione penale con modalità che appaiono irrispettose delle prerogative del giornalista, il controllo politico della Rai, l’inadeguata protezione dei giornalisti dalle azioni intimidatorie e temerarie sia civili che penali.
E allora torno alla domanda di partenza: perché farsi eleggere in Parlamento per poi non farsi quasi mai vedere in Aula? Per soldi? Per status? Può darsi, anche se non sembra che soldi e status difettino ad Angelucci. Allora perché?
Cosa può esserci di così irrinunciabile nell’onorevole ruolo da assicurarselo da ben quattro legislature, pur non volendone sapere niente di sedute fiume, interrogazioni, emendamenti, pareri del governo e ordini del giorno? E cosa può esserci di così importante in ballo da convincere colleghi di partito, di maggioranza e di Governo a chiudere gli occhi sul clamoroso assenteismo, che di certo non depone bene nemmeno verso la propria più compiacente base?
Lascio al cortese lettore la risposta. Suggerisco però due ultime riflessioni.
La confusione tra potere politico e potere editoriale, veleno mortale della democrazia liberale, che dovrebbe essere semplicemente vietata, ma che in Italia segna (sembra irrimediabilmente!) la gestione del potere da oltre trent’anni, era uno dei punti caratterizzanti la strategia del Piano di rinascita democratica voluto dalla P2 di Licio Gelli, che assegnava proprio alla acquisizione di una agenzia di stampa il ruolo peculiare di pilotare la stampa locale. La P2 stimava in 30-40 miliardi di vecchie lire l’investimento necessario per “dotare” di risorse finanziarie adeguate i “campioni” individuati dalla P2 medesima per realizzare il piano strategico.
Infine, il Parlamento, che discute da dodici anni della opportunità e della stessa legittimità costituzionale del sistema di provvedimenti moralizzatori introdotti dalla Legge “Severino” (che portarono alla decadenza dal ruolo di parlamentare di Berlusconi quando fu definitiva la sua condanna per reati fiscali), e che discute a singhiozzo su vitalizi e contributi pensionistici da riconoscere a condannati impenitenti, perché non avvia una riflessione sulla decadenza del parlamentare che, privo di giustificazione, occupi il ruolo, senza mai poi esercitarlo con quella disciplina e quell’onore pretesi dalla Costituzione?
Non è questa una condotta sostanzialmente anti-costituzionale? Non è una impostura insopportabile, che andrebbe sanzionata proprio attraverso quell’autodichia giustamente cara alle Camere, che per una volta non dovrebbero andare al traino delle sentenze penali di condanna prodotte dalla magistratura (così irritanti per alcuni!)? Che dite, lanciamo una raccolta firme?
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