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Quel ramo del lago di Varese, tra i parenti di Gadda e l’antimafia

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Gita a Buguggiate con i cowboy – Paeselli. Qui vissero anche noti ’ndranghetisti: uno scrisse “Ammazzare stanca”

Buguggiate è un piccolo comune incastonato nella provincia di Varese, a 300 metri sul livello del mare, a poca distanza dal Lago di Varese.

Qui, invitato, ho passato in splendida pace la prima parte delle mie vacanze. Se sapevo del luogo prima di andarci? Ma certo.

Buguggiate è noto agli studiosi di mafia per essere stato il primo paese di arrivo di uno ‘ndranghetista nella storia della Lombardia. Un futuro capo ‘ndranghetista.

Si chiamava Giacomo Zagari e veniva da San Ferdinando, piana di Gioia Tauro. Giunse nel 1954, l’anno del primo Festival di Sanremo, come avrebbe ricordato con orgoglio decenni dopo. Allora il paese aveva meno di mille abitanti (oggi sono più di tremila).

Siete anche voi tra quelli che pensano che i mafiosi arrivino in Lombardia perché mandati al soggiorno obbligato o per investire in Borsa? Ecco l’occasione per ravvedervi. Zagari vi venne per sua scelta a fare il muratore. E siccome conosceva metodi più spicci per fare soldi si mise ad applicarli.

Giusto qui, ed è certo una coincidenza, avvenne uno dei primi sequestri di persona commessi in Lombardia, inaugurando una lunga e infame stagione.

Vittima uno studente di diciassette anni, prelevato vicino a scuola. Si chiamava Emanuele Riboli. Una storia terribile. Il padre non aveva i soldi chiesti per il riscatto. Fece di tutto per giungere a un accordo. Ma il ragazzo non tornò mai. In paese gli anziani dicono che impazzì nelle mani dei rapitori, che alla fine lo uccisero.

Iniziò così nella provincia di Varese la lunga vicenda di quei calabresi tanto speciali da diventare spesso “padroni a casa nostra”, raccontata in un libro assai istruttivo (Ammazzare stanca) da Antonio Zagari, figlio di Giacomo e anch’egli capo ‘ndranghetista.

Una signora che qualcosa di questa storia sa mi indica anche la casa di chi diede in affitto a Zagari l’abitazione. Ma se questo è il punto di partenza per me obbligato (professionalmente intendo) sarebbe sbagliato appendervi l’immagine del paese.

Perché Buguggiate è quel che una volta sulle guide veniva definito un paese “ameno” o “ridente”. Tanto verde, case con giardini, tanta acqua (c’ è una significativa via “Erba molle”), deliziosi squarci scozzesi o irlandesi. E una temperatura tendenzialmente mite.

E in più molte persone speciali da incontrare.

Ad esempio la signora Oda Gadda, il cui padre era cugino primo di Carlo Emilio, il grande scrittore lombardo annoverato tra i pilastri della letteratura italiana del Novecento. La signora porta benissimo i suoi anni, accudita da una donna del posto e da un sorvegliante. Ci tiene, e giustamente, a mostrarsi al massimo della forma, elegante e invidiabile nell’eloquio e nella memoria.

È un piacere sentirla raccontare la storia di famiglia, che fa perno su Milano ma è anche legata a questi posti. Ricorda ad esempio perfettamente i tempi della guerra, quando era bambina. Benedice il pollaio, che ai tempi delle bombe diede da mangiare a tutti. Descrive con straordinarie pennellate personaggi del passato remoto e del passato prossimo (ma anche del presente), introduce uno per uno con passione nei propri racconti i dieci nipoti avuti dalle due figlie.

Nel comune confinante, Galliate, la narrazione cambia radicalmente.

Lì ci si può imbattere in un tipo fascinoso e avventuroso con cui ti fermeresti a parlare per ore. Si chiama Carlo Malnati. Dirige un bar quasi invisibile ma dalle brioches e dalle torte magiche. Ha i capelli bianchi fini e lunghi sotto un cappello da cow boy. Sfoggia un’eleganza impareggiabile con una pochette ciclamino e due mocassini di stoffa dello stesso colore. Partì di qui tanti anni fa dicendo al padre che avrebbe fatto l’artista. Subito rassicurandolo che mai avrebbe chiesto un soldo, ma che l’artista l’avrebbe fatto. Ci riuscì grazie a un talento esplosivo nel disegno e nella pittura. Andò in America e lì trovò la sua fortuna, a partire dalla comunità italiana che lo accolse generosamente. Solo a un tratto si accorse che un suo benefattore aveva rapporti affettuosi (“lo considerava un padre”) con Al Capone.

Molti furono però i personaggi famosi con cui strinse relazioni. Ne ha raccolti alcuni in un libro di cui mi ha fatto dono: Cowboy. Vita dell’artista, al centro della copertina un meraviglioso cappello western. Ed ecco in fila Philippe Leroy, Miguel Bosè, Stevie Wonder, Placido Domingo. Ma anche Nereo Rocco e Gianni Rivera, Riccardo Muti e Vincent Willem Gogh, il nipote erede. E Moana Pozzi, a cui riserva accenti delicati (“era una donna sensibile e intelligente”).

Ma sempre a Buguggiate gli amanti del genere possono incontrare nella sua casetta a due piani con giardino e alberi da frutta (e cane) una delle più brave professoresse del movimento antimafia che esistano in Italia.

Si chiama Caterina, è pugliese, e mi ha ordinato di non mettere il cognome per suo irriducibile pudore. Ha un cane, un susino, un marito artista, e una bellissima raccolta di lettere mandatele nel tempo da allieve e allievi che la ringraziano per quanto ha fatto per la loro formazione. Me ne sfoglia qualcuna con orgoglio e commozione (e ascoltandole mi commuovo anch’io).

Di fronte alla sua casa, in un grande giardino, un folto gruppo di bambini viene premiato in festa. Si odono voci e canti. Per imitare quanto hanno visto in tivù, hanno voluto disputare le Olimpiadi di Buguggiate. Specialità: calci di punizione, calci di rigore, bocce, decathlon, corsa, tiro con l’arco, ginnastica artistica, pallacanestro, salto in lungo. Durante la proclamazione dei piccoli vincitori si sente perfino l’inno nazionale.

Vedete un po’: tremila abitanti e che varietà di vite. Chi l’avrebbe detto, a Buguggiate…

Quali libri? Suggerisco: Valentina Furlanetto, Cento giorni che non torno, Laterza. Punti di vista diversi sulla pazzia, in una storia che ha sullo sfondo la sofferenza e la per me mitica figura di Franco Basaglia; Janek Gorczyca, Storia di mia vita, Sellerio, bellissimo diario di un senza casa polacco a Roma, che ho scoperto grazie a Lidia Calamia; Alessandro Manzoni, I promessi sposi. Sissignori, ho deciso di rileggerlo come grande trattato di sociologia, e mi sto confermando nella (non originale) intuizione.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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