La lezione della sconfitta
Le Olimpiadi volevano essere un segno di pace, un ponte di fraternità tra tutta l’umanità, un confronto sulle abilità invece che sulla forza, l’esaltazione dell’incontro al posto della competizione.
Oggi la tregua olimpica con tutta evidenza non viene rispettata e – com’è sotto gli occhi di tutti – segna un tempo di inasprimento dei conflitti. Se almeno si riuscisse a proporre la sconfitta non come un fallimento e una disfatta, ma piuttosto come un nuovo luogo di ricominciamento, avremmo contribuito alla crescita di generazioni che apprendono il senso della vita.
Educare alla sconfitta è un compito imprescindibile di ogni persona impegnata nella formazione. L’esaltazione della vittoria, del prevalere e del trionfo è iscritta nella dinamica del gioco ma l’elaborazione sana della sconfitta è un momento di crescita senza pari. È l’occasione per raccontare, ad esempio, il silenzioso e quotidiano sacrificio della preparazione atletica, il valore dell’umiltà, la condivisione della gioia dell’altro.
Condire i giochi olimpici di polemiche pretestuose, inquinarla con interferenze strumentali, ridurli a grimaldello per affermazioni politiche e sottili rivincite, decretano il fallimento dello spirito stesso delle Olimpiadi.
In questi giorni stiamo ricevendo sicuramente tanto dalla commozione di chi raggiunge il traguardo del podio, ma molto di più da chi considera una medaglia l’essere arrivato a gareggiare con (e non contro) chi parla altre lingue.
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