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Le differenti autonomie

Rocco Artifoni il . Costituzione, Diritti, Economia, Istituzioni, L'analisi, Politica, referendum e costituzione

Si fa presto a dire “autonomia differenziata”.La questione in realtà è assai complessa.

Anzitutto perché nella Costituzione l’autonomia degli enti locali è riconosciuta e promossa dentro la cornice dell’unità indivisibile della Repubblica (art. 5).

L’autonomia non può essere considerata un valore a sé stante, ma deve essere uno strumento responsabile per realizzare i principi fondamentali. Tra questi c’è “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2) e il “compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3).

In questo periodo è in corso la raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata (Legge 26 giugno 2024 n. 86) voluta dalla coalizione del centrodestra, in particolare dalla Lega.

La tematica ha molti aspetti, non sempre considerati in modo adeguato e corretto, in particolare per quanto riguarda gli elementi economici.

In questa prospettiva sono utili i dati presentati recentemente dall’Osservatorio conti pubblici italiani promosso dall’Università Cattolica di Milano.

Mettendo a confronto le entrate e le spese in correlazione al PIL di ciascuna regione italiana emerge che in percentuale il deficit maggiore è quello della Calabria (-24,5%). A seguire la Basilicata (-22,6%), il Molise (-21,2%), la Puglia (-16,7%), la Sicilia (-15,9%) e la Valle d’Aosta (-15%).

Nei territori con risultato negativo troviamo anche la provincia di Trento (-8,5%), la Liguria (-1,8%), la provincia di Bolzano (-1,6%).

Dall’altro lato della classifica, le regioni con un avanzo di bilancio: anzitutto la Lombardia (+14,2%), il Lazio (+7,7%), l’Emilia Romagna (+7,6%). Già da questi dati è evidente che la problematica non può essere ricondotta ad una mera contrapposizione tra regioni del sud e del nord.

Se anziché valutare le percentuali si considerano i dati assoluti, nella classifica delle regioni con maggiore deficit annuale abbiamo nell’ordine la Campania (-16 miliardi di euro), la Sicilia (-14,2miliardi) e la Puglia (-12,7 miliardi).

Con un disavanzo troviamo anche regioni del nord: la provincia di Trento (-1,8 miliardi di euro), la Liguria (-900 milioni di euro), la Valle d’Aosta (-700 milioni di euro) e la provincia di Bolzano (-400 milioni di euro).

In positivo risultano ai primi tre posti la Lombardia (+56,8 miliardi di euro), il Lazio (+15,6 miliardi) e l’Emilia Romagna (+12,4 miliardi). Ovviamente le differenze assolute sono fortemente condizionate dal numero di abitanti.

Infatti, analizzando le spese regionali pro-capite, la classifica viene completamente ribaltata.

Il costo più basso è per gli abitanti della regione Campania (con una spesa annua di 11.900 euro pro capite). A seguire la Sicilia (12.000 euro), la Puglia (12.500), il Veneto (12.800), la Lombardia (13.200) e la Calabria (13.300).

Sul versante opposto troviamo la Valle d’Aosta (24.400 euro), la provincia di Bolzano (21.600), la provincia di Trento (21.100), la Basilicata (15.900), la Liguria (15.300), il Molise (15.200)) e il Friuli (15.100). La media italiana della spesa pro capite è di 13.600 euro.

Il sistema fiscale italiano si basa sulla necessità che tutti debbano contribuire alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53 Costituzione).

Ma i servizi offerti dalla Repubblica sono universali, cioè non dipendono da quanto ciascuno ha versato.

Di conseguenza, considerando i dati della spesa pro capite bisognerebbe chiedersi se è costituzionalmente accettabile che per i cittadini della Valle d’Aosta si spenda oltre il doppio di quanto viene speso per gli abitanti della Campania e della Sicilia.

La risposta a questo quesito, strettamente connesso al principio di uguaglianza sostanziale, dovrebbe precedere e orientare qualsiasi considerazione sulla riforma delle autonomie più o meno differenziate.

Le differenze sono evidenti, ma sarebbe onesto chiarire bene quali siano gli obiettivi, perché le autonomie e le disuguaglianze non sono sinonimi.

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