Mafie globali: la sfida da affrontare insieme
Le attività delle mafie da molti anni hanno oltrepassato anche le frontiere nazionali, aumentando competenze, volume di affari e difficoltà di intercettazione. Se ne è parlato a Trame durante l’incontro dal significativo titolo “Mafie senza confini”. Protagonisti del dibattito avvenuto a Lamezia il 21 giugno: Ruggero Scaturro, senior analyst presso il think tank GI-TOC (Global Initiative against Transnational Organized Crime), e Giuseppe Governale, generale della DIA (Divisione Investigativa Antimafia) dell’Arma dei Carabinieri e già comandante del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale).
Rilanciamo il video dell’iniziativa accompagnato da una breve premessa della moderatrice, Anna Sergi, docente di criminologia presso la Essex University nel Regno Unito.
Per conoscere come si muovono le organizzazioni criminali mafiose oltre i confini nazionali c’è sempre più bisogno che si lavori insieme, sia tra rappresentanti della magistratura e delle forze di polizia, sia nel mondo della ricerca.
Noi italiani per molto tempo abbiamo avuto la tendenza a dare per scontata la nostra prospettiva di indagine e di analisi sul fenomeno, senza comprendere come la maggior parte dei dati e delle conoscenze che noi possediamo, manchino completamente nella formazione e nel vocabolario corrente dei nostri omologhi in altri paesi in Europa o in differenti continenti.
Per usare una metafora esemplificativa: spesso abbiamo esportato una ricetta già pronta per una torta senza verificare che si conoscessero e ci fossero gli ingredienti necessari per prepararla. Se non sai nemmeno cosa sia una mela come potresti cucinare una torta nella quale è l’ingrediente principale? Questo accade quando dall’Italia vengono richieste informazioni a procure o a centri studi di paesi contigui o distanti senza spiegare e specificare meglio a cosa facciamo riferimento, dimenticando o ignorando come nel loro contesto dinamiche e attività criminali vengano analizzate in maniera diversa e quanto non siano automatici collegamenti per noi usuali.
Per superare diffidenze e mancanze reciproche si stanno ottenendo ottimi risultati dalla conduzione di indagini in maniera condivisa tra le procure italiane e quelle dei paesi nei quali si vuole andare a intercettare le modalità di presenza e di azione delle organizzazioni criminali. È un lavoro che parte sin dalla ricetta nella quale devono essere chiari a tutti gli ingredienti e il modo di mescolarli per arrivare al risultato.
È necessario portare avanti questa modalità di condivisione e di chiarezza anche nel mondo della ricerca e degli studi sul fenomeno per evitare due tipi di rischi. Il primo fa riferimento alla mitologia della mafia italiana: l’interesse sul fenomeno da parte di alcune organizzazioni straniere vira sul glamour, quasi a considerare la presenza delle mafie con un’accezione positiva, ignorando completamente il senso e le conseguenze. Dall’altra parte c’è quello che si può definire il self monitoring: ci sono gruppi che osservano e schedano nomi e cognomi, collegando la provenienza da alcune zone del nostro paese e l’assonanza con riferimenti di rappresentanti di clan mafiosi. Ne scaturisce una forma di pregiudizio pericolosa.
Indagini di polizia e studi condivisi a livello internazionale dimostrano il valore di un percorso che deve proseguire. Quanto emerso anche dal dibattito al festival Trame ha confermato come le sfide relative alla globalizzazione delle mafie debbano richiamare un impegno il più possibile volto alla condivisione approfondita di informazioni e di metodi comuni per leggerne e indirizzarne l’utilizzo.
* Professoressa ordinaria di criminologia all’Università di Essex, Regno Unito
Fonte: Avviso Pubblico
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