Giorgio Ambrosoli e la forza di quel “no”, oggi più che mai attuale
Cosa significa dire “no”? L’idea comune è che negare equivalga a distruggere.
Nel caso di Giorgio Ambrosoli invece negare ha significato aprire la strada alla giustizia (italiana e americana) per porre fine alla parabola criminale di Michele Sindona.
Il suo “no” è bastato per far crollare un castello di menzogne e raggiri ai danni dei risparmiatori, ai danni del Paese.
Lo hanno “ringraziato” con un omicidio servito a freddo, colpendo a tradimento un uomo la cui unica protezione fino a quel momento era stata assicurata dal suo collaboratore e amico, il fidato maresciallo Silvio Novembre.
A proposito di “no” ben detti, quanti ne ha pronunciati lo stesso Novembre.
Uniti i due dalla stessa intransigenza, apparentemente una forma di innata diffidenza, ma in realtà una profonda conoscenza dell’essere umano e dei suoi limiti.
Quel “no” alla corruzione, quel “no” all’accomodamento è stato scambiato da molti contemporanei – ma lo stesso accadrebbe oggi – per ottusità, o meglio incapacità a trovare la giusta soluzione ad un intrico costituito da di poteri criminali e massonici, benedetto dalla collusione di segmenti della Chiesa, il tutto condito da una politica più attenta ai propri interessi che a quelli dell’Italia.
Le vicende professionali e le parabole umane di Giorgio Ambrosoli e Michele Sindona erano talmente distanti che non sarebbe mai stato possibile trovare un accordo corruttivo.
Ecco perché quel “no”, oggi più che mai, assume un valore straordinario e, dopo quarantacinque anni, siamo ancora qui, insieme a ricordare il professionista integerrimo, il marito e padre affettuoso, il servitore dello Stato, il civil servant per antonomasia.
Molto è già stato detto questo sera, durante il bellissimo spettacolo cui abbiamo assisito e molto viene raccontato e testimoniato in tutte le occasioni pubbliche nelle quali, come Libera, portiamo avanti, il ricordo di Giorgio Ambrosoli, grazie anche alla sua eccezionale famiglia che, questa sera, con lui ringraziamo con un omaggio sincero.
Allora permettetemi di aggiungere un piccolo contributo personale a questa che è diventata una storia collettiva di memoria e di impegno.
Come tanti della mia generazione, all’epoca di quei tragici avvenimenti del 1979, ero troppo piccolo per comprendere cosa fossa successa e, ho avuto la fortuna di conoscere Giorgio Ambrosoli, soltanto anni dopo, nel 1991, grazie alla lettura del bellissimo libro di Corrado Stajano “Un eroe borghese”.
Non potevo certo immaginare che, in meno di un anno, quella storia colpevolmente dimenticata sarebbe tornata di attualità, trovando una centralità nel racconto della corruzione sistemica e del suo contrasto a partire dalla nostra città, soprannominata allora significativamente “Tangentopoli”.
Eppure, posso confessarlo questa sera, all’epoca non avevo gli strumenti per interpretare la storia di Ambrosoli come una vicenda di mafia, ma piuttosto la inquadravo in una logica di corruzione in salsa meneghina. Non conoscevo i termini della questione, non sapevo abbastanza.
Sarebbero stati necessari, poco dopo, i diciotto mesi di impegno professionale trascorsi a Palermo, presso l’Ufficio Stampa del Comune, per aprirmi gli occhi e farmi capire, stando sul campo e in diretta, cosa fosse in realtà la mafia e quale grado di inquinamento fosse in grado di produrre nella società e nel tessuto economico e politico.
Da quel momento, passati gli anni e incontrati la moglie e i figli di Giorgio Ambrosoli, ho avuto il privilegio di accompagnarli in diverse occasioni e così ho potuto rileggere con attenzione la sua storia e, ancora oggi, la trovo di straordinaria attualità.
Tanto più in una giornata, come oggi 11 luglio 2024, una giornata che è dedicata al suo ricordo, eppure sviata e guastata nel pensiero di tanti di noi da quello che è accaduto ieri alla Camera dei Deputati, con l’approvazione della cosiddetta “riforma” della giustizia voluta dal ministro Nordio.
Cosa avrebbe pensato – e detto – Giorgio Ambrosoli della cancellazione dell’abuso di ufficio, della depenalizzazione di fatto di ogni responsabilità a carico dei soggetti incaricati di svolgere un pubblico servizio?
E ancora, pensando proprio alla giornata di oggi, cosa avrebbe pensato – e detto – Giorgio Ambrosoli dell’intitolazione dell’aeroporto di Malpensa ad un imprenditore che ha ricoperto sì cariche pubbliche, ma soprattutto ha avuto relazioni, dirette e mediate, con gli uomini di quegli stessi clan che erano in affari con Michele Sindona?
Forse, il suo estremo rispetto per le istituzioni, gli avrebbe imposto un silenzio eloquente più di tante parole.
Forse, sotto i suo baffi ben curati, si sarebbe aperto in un sorriso malizioso che i suoi cari avrebbero ben potuto riconoscere.
Forse, chissà..
A noi, chiamati a non disperdere il valore della sua testimonianza che ancora oggi continua a regalarci motivazione e passione, tocca fare una ben piccola cosa rispetto al compito gravoso che l’avvocato Ambrosoli si è assunto dicendo quel “no”.
A noi tocca fare in modo che le presenti e future generazioni riconoscano e colgano il valore di uomini che hanno dimostrato di avere carattere.
Solitamente si dice di persone così che sono dei rompiscatole. “Però che carattere che hai” è l’espressione più ricorrente in questi casi. Ne so qualcosa per esperienza personale..
A tale proposito, questa sera, nella serata dedicata a Giorgio Ambrosoli, all’eroe borghese, vorrei ricordarlo con le parole di un grande presidente della Repubblica. Sandro Pertini: “Tutte le persone di carattere, solitamente hanno un brutto carattere. E io modestamente ho un brutto carattere”.
Onore quindi al carattere di Giorgio Ambrosoli, onore alla forza di quel “no”.
* Testo dell’intervento reso in occasione della serata “La Forza di un No – Giorgio Ambrosoli 45 anni dopo”
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