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100 anni fa nasceva la legge bavaglio

Loris Mazzetti il . Diritti, Informazione, Istituzioni, Memoria, Politica

Mentre a Roma era in corso l’importante “Fest-Assemblea” nazionale di Articolo 21, dedicata ai bavagli all’informazione e alla libertà di espressione, cento anni fa, esattamente l’8 luglio 1924, veniva pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del Regno – con esecuzione dal 9 luglio -, il decreto, imposto dal presidente del Consiglio Benito Mussolini con l’approvazione del Re, sulla “soppressione della Libertà di stampa”.

La prima legge bavaglio voluta dai fascisti a seguito della dura campagna giornalistica intrapresa dai giornali di opposizione dopo il delitto Matteotti. Il nostro amico Franco Guarino ci ha ricordato che l’anno prima il Consiglio dei ministri aveva approvato un provvedimento legislativo – non reso esecutivo -, sulla “repressione del libero confronto e la diffusione dell’idee avverse”.                              

Gli obiettivi del governo fascista erano: ridurre al silenzio le voci critiche e propagandare, soprattutto imporre, gli ideali del fascismo.                                                                             

Queste le parole del presidente Mussolini che accompagnarono il provvedimento e che diedero il via alla più violenta repressione mai accaduta contro la libertà di espressione: “Quando mancasse il consenso, c’è la forza. Per tutti i provvedimenti, anche i più duri, che il governo prenderà, metteremo i cittadini davanti a questo dilemma: o accettarli per alto spirito di patriottismo, o subirli”.

Dal 9 luglio 1924 fu dato ai prefetti l’ordine di intervenire con “azioni di censura contro la stampa, dalla sospensione delle pubblicazioni alla chiusura del giornale”. Le conseguenze immediate furono il licenziamento di molti direttori e relativi editori, la FNSI – il Sindacato unitario dei giornalisti – fu sciolta e sostituita dal Sindacato fascista dei giornalisti.

Come è intuibile, il bavaglio alla libera informazione è una storia che parte da lontano e arriva ai giorni nostri, comune a tutti i regimi, una storia che allontana un paese dalla democrazia: l’imposizione del pensiero unico e il silenzio per chi la pensa diversamente.

È ciò che sta accadendo in Italia con il governo di destra destra, capitanato da Giorgia, Giorgia Meloni, che pur giurando sulla Costituzione, che ha come fondamento l’antifascismo, non riesce a pronunciare ciò che lei dovrebbe rappresentare e difendere: l’antifascismo.                                                                                                                   

Si parla di una Rai votata al melonismo, votata è poco, come dimostrano i tg del servizio pubblico, sempre più pieni di cronaca nera. Quando arriverà quella rosa alla Rossella di epoca berlusconiana?

Gravissimo ciò che è accaduto a RaiNews24 ma anche negli altri tg a commento del voto politico francese, con la sconfitta dell’ultra destra di Le Pen e Bardella, gli approfondimenti solo su Mediaset, La7 e Sky.

Che fine sta facendo la Rai? Sta rinunciando al suo ruolo di servizio pubblico?

D’altra parte come ha dimostrato l’inchiesta di Fanpage e la recente manifestazione di Salerno all’insegna della nostalgia fascista nel ricordare il camerata Falvella, ucciso nel 1972, i nostalgici sono tanti e grazie a questo governo si sentono sempre più legittimati e liberi di esprimere la loro fede per un “maestro” che cent’anni, tra le tante vergogne, inventò anche la legge bavaglio.   

Fonte: Articolo 21

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