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L’affollamento delle mafie nel nostro Paese nelle analisi della DIA

Piero Innocenti il . Criminalità, Dai territori, Droga, Economia, Forze dell'Ordine, Mafie, SIcurezza

È di pochi giorni fa la corposa relazione (376 pagine) del Ministro dell’Interno al Parlamento redatta dalla DIA (Direzione Investigativa Antimafia) sull’attività svolta e i risultati conseguiti nella lotta alla mafia nel primo semestre del 2023.

Lo scenario criminale illustrato dagli analisti della DIA, già inquietante nelle precedenti relazioni semestrali, lo è ancor di più con quest’ultima che evidenzia una presenza fortemente preoccupante delle mafie in gran parte del paese, ma anche in diversi paesi dell’Ue ed extraeuropei.

L’analisi puntuale degli elementi info-investigativi del considerevole patrimonio informativo della DIA dovrebbe indurre autorità di governo e parlamentari (magari leggendo la versione proposta della relazione sintetica) a considerare l’opportunità di un esame generale dell’azione di contrasto alle mafie per valutare se  le risorse umane e tecnologiche siano adeguate.

E su queste ultime, in particolare, è stato lo stesso Procuratore Antimafia e Antiterrorismo Giovanni Melillo nell’audizione del 21 giugno 2023 innanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia, a ricordare che “sono le tecnologie digitali il cardine organizzativo delle reti criminali, non solo delle reti mafiose”.

Alcuni giorni fa, poi, Nicola Gratteri Procuratore della Repubblica di Napoli e grande esperto di lotta alla ‘ndrangheta, ha sottolineato l’esigenza di poter contare su ingegneri informatici e hacker per una lotta efficace alla criminalità organizzata che opera nel dark web.

C’è, poi, un passaggio, a mio avviso rilevante, della relazione in cui si fa riferimento alla particolare attenzione che va rivolta alla situazione carceraria “per prevenire e limitare la capacità delle organizzazioni di prosperare e crescere entro le mura dei penitenziari per impedire l’ingresso di materiale di comunicazione sempre più sofisticato”, consentendo così ai detenuti di restare in contatto con il mondo esterno.

Ed è emblematica a riguardo la recentissima inchiesta della Procura delle Repubblica di Biella conclusa con 39 richieste di rinvio a giudizio nei confronti di agenti della polizia penitenziaria, detenuti e familiari per l’introduzione nel carcere locale di droga, microtelefoni e schede sim.

Nella relazione una particolare attenzione viene riservata alla mafia calabrese “che trova il suo punto di forza nella fedeltà alle origini, alla tradizione, all’assetto di tipo familistico che ne ha impedito la trasformazione in un’asettica multinazionale del crimine”, ma che non le ha impedito di acquisire una “elevata capacità operativa con un notevole intuito finanziario ed affaristico”.

Rilevanti le quantità di denaro che la ‘ndrangheta è riuscita a riciclare e reimpiegare nelle zone più produttive del Paese; si pensi alla presenza di alcune decine di “locali” censite dalla Dia nel Nord Italia tra cui quelle di Mariano Comense (Como), Lentate sul Seveso (Monza-Brianza), Solaro e Legnano, Rho, Cormano, Bollate, Pioltello (Milano), Lavagna (Genova), Volpiano, Rivoli, Giaveno (Torino), Lona Lases (Trento).

In Sicilia si è incrinata la tradizionale struttura verticistica di cosa nostra grazie alle continue attività investigative e, tuttavia, sono emersi altri sodalizi organizzati di matrice mafiosa tra cui la Stidda inizialmente contrapposta a cosa nostra ma “attualmente piuttosto incline a strategie di non belligeranza, prediligendo intese di condivisione e spartizione degli affari illeciti” La droga rimane per le mafie siciliane la più sicura fonte di reddito.

In Campania accanto ai sodalizi camorristici più strutturati “gradualmente evoluti nella forma delle c.d “imprese mafiose”, si rilevano gruppi minori dediti in prevalenza allo spaccio di stupefacenti, alle estorsioni, all’usura.

Lo scenario mafioso pugliese e lucano è caratterizzato dalla camorra barese (contraddistinta da diversi clan), dalle mafie foggiane (la società foggiana, la mafia garganica, la mafia dell’Alto Tavoliere e la mafia cerignolana) e dalla sacra corona unita.

Tra “le altre mafie nazionali” la DIA cita il noto clan Casamonica attivo sul territorio laziale ed in particolare a Roma e provincia, i sodalizi di Ostia dei Fasciani e Spada la cui influenza si è evidenziata in diverse operazioni di polizia ed altre formazioni criminali, tra cui quella di Gambacurta ben nota nei quartieri romani di Montespaccato, di Boccea e Aurelia e dei Senese operativi nella zona Tuscolana, Cinecittà, Centocelle, Quadraro e in alcune aree del centro storico.

A rendere ancor più angosciante il panorama criminale ci sono le organizzazioni criminali straniere tenendo presente che per talune la Corte di Cassazione ha già delineato i tipici caratteri mafiosi sia nella struttura (le nigeriane) che nelle modalità operative criminali (cinesi, nigeriane e romene).

Un infittimento della presenza delle mafie nel nostro Paese che deve indurre vertici istituzionali e politica ad una seria riflessione per adeguate contromisure.

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Direzione Investigativa Antimafia: pubblicata relazione I semestre 2023

Le risorse impiegate contro la criminalità organizzata sono insufficienti

L’ABCD delle reti criminali più pericolose in Europa

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