Rapporto sui media, non si sa, non si deve sapere
Se fosse davvero confermata la notizia anticipata dall’edizione europea della testata giornalistica statunitense Politico a firma di Clothilde Goujard – secondo cui Ursula von der Leyen starebbe cercando di occultare la pubblicazione del Rapporto sullo stato di diritto per imbonirsi Giorgia Meloni, corteggiata per il prossimo voto sul vertice di Bruxelles – saremmo di fronte ad un caso vergognoso.
Del resto, erano pesino state stigmatizzate nei giorni scorsi le prese di posizione pressoché omologhe della vice della von der Leyen Vera Jourova, che si occupa proprio di quel rapporto. Lo stato dell’arte, per così dire, è noto, in Italia.
La Rai è sotto occupazione, le querele temerarie e provocatorie contro chi fa cronaca volteggiano nell’aria, rimane il carcere per i giornalisti, le istituzioni culturali sono nel mirino di una destra che vive i suoi quindici minuti di celebrità e non guarda in faccia neppure i santi.
Il conflitto di interessi, dalla presenza di Mediaset al governo con Forza Italia al caso inquietante di Angelucci parlamentare e cacciatore di testate, è vivo più che mai. La federazione della stampa, l’associazione Articolo21, il sindacato europeo dei giornalisti (con il segretario Ricardo Gutierrez) e il consorzio dedicato al settore Media freedom rapid response (MFRR) hanno sottolineato la gravità della vicenda. E si sono espresse componenti parlamentari.
Tuttavia, simile orribile brandello di storia minore ci illumina su quanto sia precario l’assetto della vecchia Europa. Al vento nero che sta avvolgendo l’ex nobile continente si risponde con mille altre sfumature, sempre nerastre.
In verità, se la ri-candidata tedesca alla massima poltrona della Commissione ricorre a tutti gli stratagemmi per mantenere lo scranno fino a rinviare a dopo l’eventuale conferma la discussione sul testo in questione, sono le autorità competenti italiane a dover prendere una posizione. Alla strategia del segreto, tipica dei poteri non commendevoli, va contrapposta una chiara linea tesa alla massima trasparenza. Si renda noto il Rapporto e si affrontino con coraggio i problemi che pone.
Altro che successo della riunione del G7, tenutasi in un clima surreale da regime di cartapesta. Se il governo delle destre è oggetto di critiche non banali sul versante delle libertà nell’infosfera, si eviti di cantare peana patetici e si guardi in faccia la realtà.
L’Italia è scesa dal 41° al 46° posto nella graduatoria di Reporters sans frontières, e non certamente per caso. In Europa siamo ormai più vicini all’Ungheria che alle democrazie liberali e Giorgia Meloni sembra ripercorrere in pejus (le copie sono peggiori dell’originale) i fasti pagani di Silvio Berlusconi. Simile sgradevole situazione dovrebbe divenire oggetto di un tormentone straordinario da parte delle forze di opposizione: politiche, culturali, associative.
L’argomento non è meno importante e delicato di altri. Anzi. Se vengono a mancare il diritto all’informazione e il pluralismo del pensiero, si finisce dritti in un sistema autoritario.
L’accademica discussione su quale sia la distanza tra ciò che accade oggi e la tradizione dei fascismi trova risposte, purtroppo, puntuali: nei ricorrenti momenti di razzismo e nell’attacco ai contropoteri. In simile clima i due macigni del premierato elettivo e dell’autonomia differenziata potrebbero costituire il colpo di grazia.
La messa sotto il tappeto del citato rapporto fa il paio con l’incredibile nota inviata al Senato dal dipartimento delegato alla materia di Palazzo Chigi, volto a neutralizzare la portata davvero inedita dell’European Media Freedom Act (EMFA), che chiede metodi assai diversi per la delineazione dei vertici dei servizi pubblici.
Meloni bifronte, dunque. A Bruxelles una parte in commedia, qui quella opposta. C’è materia per prendere in considerazione una grande mobilitazione nazionale per tutelare un capitolo cruciale dell’edificio democratico. Già, ma il segreto è un’arma impropria di chi comanda. I sudditi non sanno e non devono sapere. Per dirla con Dario Fo, dal titolo di una delle sue pièce folgoranti. Ma la lotta paga e il vento gira.
Fonte: il manifesto
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