La mafia sconfitta da Lea e Le Ribelli
“Rivoluzione “per amore”
La lotta è rosa – Dopo anni di uomini uccisi o schierati contro i clan, un libro racconta il ruolo fondamentale delle donne nel contrasto alle mafie. L’architrave di quel potere ormai s’è rotto: dal caso Garofalo in poi.
Le Ribelli uscì la prima volta nel 2006. L’intento era di sottolineare l’importanza, anche simbolica, di un filone femminile nella lotta alla mafia, fin lì ricondotta comprensibilmente – nella pubblica narrazione – al coraggio e al protagonismo di figure maschili.
Uomini le decine di sindacalisti uccisi nelle lotte contadine del secondo dopoguerra; uomini i giudici e i rappresentanti delle istituzioni colpiti a ripetizione tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del secolo scorso; uomini i rappresentanti della società civile – imprenditori e giornalisti soprattutto – puniti a morte per non essersi piegati alle pretese di obbedienza o di silenzio di Cosa Nostra. (…)
Le Ribelli provò (e nel volgere di qualche anno riuscì) ad aiutare la diffusione di una lettura diversa. Mise in luce attraverso sei Scene concatenate le storie di donne che, muovendo dal proprio rapporto di sangue o affettivo con alcune vittime, avevano contribuito esemplarmente a rompere un’omertà secolare. Raccontò il coraggio di sfidare un potere criminale che era anche il potere più maschilista sperimentato dalla storia sociale italiana.
Donne di ogni età. “Donne di popolo e donne benestanti” recitava la prefazione “vissute nel culto delle istituzioni o allevate nella più piena contiguità ambientale alla cultura mafiosa”. Armate, indipendentemente dal titolo di studio o dal rango sociale, di una sola e inarrestabile forza: i propri sentimenti. La loro era stata una rivoluzione “per amore”.
Esattamente come l’inaudita rivolta delle madri di Plaza de Mayo contro la dittatura argentina che aveva falciato la “meglio gioventù” sotto il regime dei colonnelli tra gli anni 70 e 80. Il loro non era stato solo pianto disperato o furia vendicativa, come nel caso da antologia di Serafina Battaglia. Era stata soprattutto lotta per la verità, per la giustizia. E in senso più generale profondissima sfida culturale. Così che era possibile vederle una dopo l’altra, queste donne, su un sentiero sociale insanguinato, quasi cippi di un immaginario, dolente e orgoglioso cammino.
L’immagine delle Ribelli si è fatta strada. (…) Film e libri si sono successivamente abbondantemente appropriati della parola per raffigurare le proprie protagoniste. (…)
Si sono così radicati progressivamente nella consapevolezza del movimento antimafia i nomi di queste donne sole, allineate in una storia civile che pareva scorrere a parte ma che apriva squarci potenti sulla storia d’Italia. E che già aveva visto sorgere al suo fianco alcune esperienze collettive locali.
Si pensi all’Associazione donne siciliane per la lotta contro la mafia, promossa a Palermo nel 1982 da Giovanna Giaconia, moglie del giudice Cesare Terranova, fatto uccidere da Luciano Liggio nel 1979. O all’indimenticabile comitato dei lenzuoli bianchi nato a Palermo dopo le stragi del ’92, dove l’amore che aveva spinto alla rivolta non era stato quello per un figlio o per un marito ucciso, ma una straziante combinazione di affetto e gratitudine per i propri giudici che aveva scosso la città dopo le bombe del grande trauma. (…)
Ebbene, in questi quasi vent’anni molto è cambiato, dando al titolo e al contenuto del testo un valore più grande, quasi di annuncio. Che è giusto rimarcare, così da poter meglio cogliere le increspature e le onde che sempre si formano nella storia. Cosa Nostra, l’onnipotente organizzazione che sognava di ottenere tutta per sé la Sicilia, con Totò Riina nella veste di riverito viceré dell’isola, ha subito rovesci un giorno inimmaginabili. Non è stata solo una sconfitta giudiziaria e militare.
È stata anche e soprattutto una sconfitta culturale, certo mai totale, avanzata sotto la spinta decisiva di migliaia e migliaia di donne. Familiari di un numero crescente di vittime (…); ma soprattutto familiari di nessuna vittima, cittadine e studentesse ostili alla violenza mafiosa, maestre e insegnanti desiderose di dare un altro futuro alle nuove generazioni.
E in effetti a rivederla oggi la storia successiva al 2006 è costellata di protagonismi femminili diffusi in ogni campo del movimento antimafia, capaci anzi di creare nuovi campi di pensiero e di azione. Le studentesse di un tempo sono entrate nella carriera giudiziaria e in quella prefettizia, in quella giornalistica e in quella accademica, modificandone fisionomie culturali e prassi operative. Hanno reso più impetuoso il vento di ribellione che arrivava dalle associazioni e dalle scuole, e perfino dalla vita amministrativa.
Come non vedere l’impegno straordinario e incessante di tante magistrate nel contrastare Cosa Nostra a Palermo, la ’ndrangheta a Milano, o la camorra a Napoli? Come non ricordare che i colpi subiti dalla ’ndrangheta in Emilia, la regione che si gloriava dei suoi “anticorpi” senza averli, sono arrivati grazie a una prefetta agrigentina? (…)
Sarebbero infiniti gli esempi di questa nuova ribellione in nome dell’Italia e delle sue istituzioni che potrei fare, molti avendone visti e vissuti. È stato dunque in questo ciclo di anni che ho iniziato a rigirare nella mia mente e poi a proporre timidamente in pubblico il principio che l’antimafia è donna. Riflettendo su quel che vedevo. (…)
In realtà vedevo anche che quella mia tesi dell’antimafia donna non suscitava particolari consensi proprio tra le donne, comprese le mie stesse colleghe; facevano eccezione le studentesse, che d’altronde potevano proprio fisicamente verificarla nelle aule ogni giorno. Immaginavo che questo dipendesse dal pregiudizio femminile circa una astuta (e notoriamente maschile) captatio benevolentiae. O che potesse dipendere anche da quella certa incredulità che circonda ogni intuizione in tema di mafia non ancora maturata nel senso comune (…). Come si può dire d’altronde che l’antimafia è donna con tutti gli eroi che sono caduti combattendola da ruoli tipicamente maschili?
Finché la storia, sempre lei!, mi mise davanti tra il 2011 e il 2013 una vicenda che sembrava fatta apposta per rafforzarmi nel convincimento che andavo coltivando da qualche anno. Una vicenda riassumibile in un nome di tre lettere che per me è diventato nel tempo un autentico spartiacque: Lea.
Il nome di una giovane donna giunta a Milano da Petilia Policastro, che rivelò ancor di più la forza rivoluzionaria dei sentimenti. Lea Garofalo. Nella sua vicenda si intrecciarono in forma irripetibile, quasi fosse stata immaginata da un sublime regista, la ribellione individuale e solitaria che attraversa la storia della lotta alla mafia della donna nel Novecento, e la ribellione femminile collettiva, sociale, maturata negli anni Duemila.
Un intreccio (lotta personale-lotta collettiva) che in modalità diverse aveva preso forma nella Palermo di fine secolo e successivamente nella campagna elettorale di Rita Borsellino per la presidenza della Regione Siciliana, con cui – non per caso – si chiudeva la prima versione delle Ribelli.
Perciò questa edizione delle Ribelli, che giunge dopo numerose ristampe, ha sentito il bisogno di arricchirsi di un nuovo capitolo.
Quello dedicato appunto a Lea Garofalo, alla sua storia e soprattutto alla storia del processo che le ha dato “verità e giustizia”. (…) Ossia dal momento in cui donne dai ruoli tanto diversi – magistrate, avvocate, giornaliste, insegnanti, studentesse – messe insieme dalla loro sensibilità e dal destino gridano tra la commozione e l’orgoglio che, sì, l’antimafia è donna. O almeno lo è abbastanza da potere colorare interamente al femminile una vicenda tanto esemplare e di confine nella lotta alla mafia. Dopo di allora anche il rapporto tra donna e mafia non è più stato lo stesso. (…)
Dopo di allora, sia pure lentamente e molecolarmente, il potere della mafia più antica e impermeabile, la ’ndrangheta, ha tradito scricchiolii crescenti. (…)
Difficile perciò a questo punto sottrarsi all’intuizione maturata tempo prima. Perché l’asse di scorrimento della lotta alla mafia sembra passare effettivamente oggi come non mai per l’evoluzione della cultura femminile e la sua inedita capacità di rompere schemi e ordini mentali partendo dalla sfera dei sentimenti.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 12/06/2024
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